sabato 13 giugno 2020

RIPRESA: GLI STATI GENERALI DEL CONTE (prima parte)

Nella conferenza stampa del Capo del Governo G. Conte del 3/6/2020 veniva annunciata la convocazione degli “Stati Generali dell’economia”, cioè una chiamata governativa alle “migliori forze del Paese” per mettere a punto una serie di iniziative, coordinate in un “progetto di rinascita” del Paese finalizzato al rilancio economico e alla ripresa dei settori più colpiti dal blocco pandemico, in attesa di poter richiedere e utilizzare i finanziamenti europei che necessitano di piani rigorosi come condizione per la loro erogazione: “Dobbiamo sapere che la somma che metterà a disposizione l’Europa all’Italia è una risorsa per l’interno Paese, non una somma a cui il governo di turno può attingere liberamente. Non è un tesoretto in mano al governo di turno” (Conferenza Conte del 3/6/2020).
Questa iniziativa era già stata caldeggiata da alcuni giornali; per esempio, R. Napoletano aveva fatto un editoriale: “Presidente Conte convochi subito gli Stati Generali dell’economia - Eviti la mediazione di burocrati e politici e ascolti chi sa creare lavoro e ricchezza” (Quotidiano del Sud del 1/6/2020), nel quale oltre a lamentare l’assenza fin da aprile di “Un Progetto Paese di lungo termine che disegna l’Italia nuova digitale, ferroviaria, stradale, scolastica, sanitaria. Un Progetto Paese che indica le sue priorità nero su bianco e dice come e quando intende realizzarle”, giudicava fallimentare alcune iniziative governative (come “l’operazione liquidità”), sbagliati alcuni provvedimenti (“che ignorano vincoli diffusi, come la segnalazione alla Centrale rischi”) e il perseverare nella “grande balla (… di un) Nord che continua a fare il pieno di spesa pubblica assistenziale a svantaggio della spesa produttiva dovuta al Sud”, per assumere  la forza viva dello spirito del dopoguerra italiano (… e svolgere) quella funzione di coordinamento e di indirizzo di cui il Paese ha vitale bisogno e sottrarrà la cassa europea al solito marchettificio italiano. Risolverà i problemi e aumenterà i consensi. Soprattutto, salverà l’Italia  (Quotidiano del Sud del 1/6/2020).
Questa sollecitazione è stata subito ripresa dal Capo del Governo, sorprendendo la sua stessa maggioranza, poiché non tutti si sono mostrati inizialmente d’accordo con questa proposta (per esempio Italia Viva spera che l’incontro si trasformi in qualcosa di concreto e non in passerelle fine a se stesse).
Conte si è rivolto principalmente e direttamente alle parti sociali, associazioni di categoria, “singole menti brillanti”, non ponendo molta attenzione ai vari partiti e (non a caso solo rispondendo ad una domanda specifica) ha poi aperto alle opposizioni: “Non intendo queste cospicue somme date dall’Europa in Italia come un tesoretto in mano al governo in carica. Questo vale per la maggioranza come per le forze di opposizione. È un piano per la rinascita, un Recovery Plan da costruire tutti insieme, anche con le opposizioni” (Conferenza Conte del 3/6/2020).
Conte ha indicato il tradizionale elenco dei mali italiani da superare (“Occorre una seria riforma fiscale, il nostro fisco è iniquo e inefficiente. Dovremo lavorare meglio per sostenere le imprese, lavorare sull’inclusione e abbattere le disuguaglianze ”; “snellendo la burocrazia”; ecc.); ha riproposto i soliti buoni propositi (“Dovremo modernizzare il Paese rilanciando gli investimenti”; “Una doverosa transizione verso un’economia sostenibile”; “Investire in istruzione e ricerca è fondamentale”; ecc.); ha, comunque, aggiunto molta retorica (“Occasione storica”; “Abbiamo tanto da fare”; “disegnare il Paese che vogliamo, a partire dallo spirito del 2 giugno”; “il rilancio economico dell’Italia”; ecc.).
Alcuni commentatori hanno evidenziato come questa iniziativa abbia “un sapore antico”, qualcuno ha evocato “i tavoli di concertazione della Prima Repubblica” per poter superare le tensioni tra governo, sindacati e Confindustria sull’emergenze sanitarie e sulle esigenze produttive; altri hanno ricordato le nefaste circostanze degli “États généraux”, un’assemblea consultiva del Regno di Francia (in vigore dal 1302 al 1791) convocati generalmente dal sovrano specie per imporre nuove tasse al popolo.
Gli “Stati generali” furono convocati per l’ultima volta il 5/5/1789 per affrontare la crisi finanziaria della Francia di Re Luigi XVI; vi parteciparono oltre un migliaio di membri eletti dai tre Stati: il clero, la nobiltà e la popolazione (o meglio la borghesia urbana e rurale). Ogni ordine si riuniva in una camera separata dagli altri due Stati, discutevano sulle proposte reali ed emettevano un voto per camera, ma essendo tre i voti e dato che gli interessi dei nobili e del clero spesso coincidevano, il Terzo Stato (la borghesia popolare) risultava sempre svantaggiata; in quell’occasione, invece, il Terzo Stato si ribellò, ritirandosi nella “Sala della pallacorda” e proclamandosi rappresentanti della nazione (17/6/1789) per poi trasformarsi in Assemblea Nazionale costituente (dopo la riunificazione con i membri della nobiltà e del clero - 9/7/1789) ed elaborare una costituzione (definita il 3/9/1791), per definitivamente sciogliersi il 30/9/1791.
La ribellione del Terzo Stato segnò l’inizio della così detta “rivoluzione francese”, a partire dalla presa della Bastiglia (14/7/1789), passando per il “Terrore” rappresentato dalla “ghigliottina” (lo stesso Re Luigi XVI venne ghigliottinato il 21/1/1793), per arrivare alla svolta autoritaria di Napoleone (il 18 brumaio - 9/11/1799).  
La storia, è vero, di solito non si ripete ... ma insegna!
Avere utilizzato la denominazione di “Stati generali” rappresenta già un evidente limite: quello di privilegiare alcuni portatori di interessi particolari e categoriali, senza indicare in modo chiaro e trasparente i criteri di selezione dei rappresentanti convocati, il loro “peso”, i modi di consultazione e la formulazione delle conclusioni, i rapporti con il Governo e il Parlamento, poiché è cosa buona e giusta ascoltare, ma poi bisogna pur decidere qualcosa.
Agli “Stati generali  si parlerà anche delle 102 proposte del “Piano Colao”, anche se di fatto sono state subito derubricate a: “contributo utile, una base di lavoro per arricchire il piano del governo per la ripartenza del Paese”; se non apertamente criticate come ha fatto N. Fratoianni di LEU: “Il governo le lasci nel cassetto”; o come più gentilmente ha dichiarato il ministro G. Provenzano: “È arrivato un contributo della task force di Colao, che ringrazio. Ma ci presenteremo alle parti sociali con una nostra proposta”; invece Mariana Mazzucato (consulente di Conte e una dei 24 esperti del comitato) si è addirittura defilata, rinunciando a firmare il rapporto; mentre Il Fatto Quotidiano lo ha stroncato come infarcito di “lobbismo”, con tutte quelle  idee di condoni, semplificazioni, conferme di concessioni autostradali (Il Messaggero, del 10/6/2020).
Il “Piano Colao” contiene comunque tante proposte sul da farsi, elaborate da una “task forcedi nominati scelti tra “esperti in materia economica e sociale. Il Comitato avrà il compito di elaborare e proporre misure necessarie a fronteggiare l’emergenza e per una ripresa graduale nei diversi settori delle attività sociali, economiche e produttive” (Comunicato del Governo del 10/4/2020).
Del resto, quella di Colao era una della tante presenti nel labirinto delle “task force” governative e/o regionali, ripartite per fasi e obiettivi, formate da decine e decine di esperti chiamati a supportare le scelte del Governo e/o dei Presidenti di Regione, con una intricata interconnessione tra strutture politiche, amministrative, specialistiche e tecniche, di cui è difficile capirne significato, numero, composizione, attività e costi; per esempio, i team governativi sono circa 15 e hanno al loro interno 450 esperti, mentre quelli a livello regionale sono circa 30 con almeno altri 400 componenti. (Il Sole 24 Ore, del 18/4/2020).
In sostanza gli  Stati generali” sono una replica in grande della precedente “task force” di Colao e non è un caso che i loro lavori/dibattiti siano stati resi non pubblici, senza giornalisti e telecamere, con l’unico evento pubblico della conferenza stampa finale, confermando così il prevalere di una visione politica elitaria imperniata sul rapporto stretto ed esclusivo del governo con  esperti” e/o “singole menti brillanti”. 
Nel frattempo, le opposizioni decidono di non partecipare agli Stati generali” e reclamano il confronto sul Piano di Rinascita nelle Commissioni Parlamentari e il dibattito nelle aule del Senato e della Camera.
Infatti, dovrebbe essere il Parlamento, attraverso le Commissioni competenti, a dover discutere, approfondire e audire chi vuole (esperti compresi), chiudendo questi lavori in Commissione con proposte finali di sintesi e/o di indirizzo e con votazioni impegnative per il Governo e il Parlamento (Linkiesta del 11/6/2020).
Del resto, occorre evidenziare come da decenni il Parlamento stia perdendo il suo ruolo centrale nel sistema politico italiano; alcuni esempi: - negli anni 2018-19-20 le leggi promulgate dal Parlamento sono state 112, di cui 81 (pari al 72,32%) sono di iniziativa governativa (conversione in legge di decreti governativi o alle ratifiche di decisioni europee), mentre quelle di iniziativa parlamentare sono 31 (27,68%); - l’abuso del voto di fiducia è rappresentato da questi dati rilevati al Senato: Governo Renzi 54; Governo Gentiloni 24; primo Governo Conte 15; secondo Governo Conte 21; - la compressione del dibattito parlamentare; - la sua esclusione nel dialogo tra Regioni e Stato.
È il governo che discute, si confronta e delibera comunicando direttamente al popolo con le conferenze stampa; il dibattito politico viene oramai svolto nei talk show dove non servono competenza ed esperienza, ma l’abilità nella battuta da socializzare; mentre gli influencer sui social indirizzano le opinioni e le scelte politiche in una parodia della democrazia partecipata.
La pandemia, poi, ha svuotato ulteriormente un Parlamento già di fatto ridimensionato nella rappresentanza a seguito della revisione costituzionale riguardante la riduzione del numero dei parlamentari, perseguita in una logica di puro risparmio, senza alcuna ricerca di maggiore efficienza funzionale.
Infine, non va dimenticato come la Costituzione, proprio per queste funzioni consultive, propositive, di impulso e di collaborazione nelle politiche economiche e sociali, individua una specifica sede istituzionale nel CNEL, guarda caso composto: “di esperti e di rappresentanti delle categorie produttive, in misura che tenga conto della loro importanza numerica e qualitativa. È organo di consulenza delle Camere e del Governo per le materie e secondo le funzioni che gli sono attribuite dalla legge. Ha l’iniziativa legislativa e può contribuire alla elaborazione della legislazione economica e sociale” (Costituzione, art. 99).
Il CNEL (legge 33/1957 e legge 936/1986) è stato spesso considerato un “ente superfluo”, ma l'esagerato attuale ricorso alle “task force” dimostrerebbe al contrario la sua utilità se solo fosse stato opportunamente coinvolto!!!
Infatti, la proposta di revisione costituzionale Renzi/Boschi ne aveva proposto l’abrogazione, ma il referendum del 4/12/2016, rigettando tale revisione, lo ha mantenuto in vita e, dunque, andrebbe utilizzato (se non altro per dare un senso al suo costo di circa 10 €/milioni): “questa è un’occasione per non dimenticare che la sovranità deve svolgersi nelle forme previste dalla Costituzione, non con modalità libere, per così dire brade” (Il Sole24 ore del 9/6/2020). Appunto.
In conclusione.
La crisi economica e sociale causata dal blocco pandemico si sta manifestando con dimensioni enormi, ma con conseguenze differenziate sui vari settori e sui vari territori; per affrontare questa grave e complicata crisi il Governo Conte è alla ricerca di idee e di proposte anche per darsi un senso di marcia fino ad oggi assente.
Questa ricerca sarebbe una cosa buona e giusta se non fossero già stati stanziati ben 80 €/miliardi autorizzati dal Parlamento a maggior debito e si appresta a chiedere il terzo scostamento di bilancio in pochi mesi (forse una decina di miliardi), dimostrando così di non avere una chiara visione della situazione e di come intervenire.
Il Governo continua a privilegiare le modalità o le sedi che assicurano un rapporto immediato con i social media, la televisione e la stampa per arrivare direttamente agli elettori; prima si considerava  la rete e le piattaforme come luogo privilegiato delle scelte democratiche; con la pandemia si è sviluppato il  ricorso agli “esperti” impiegati nelle “task force”; ora si ricorre alle “singole menti brillanti” convocate negli “Stati generali”; in questo modo si “scavalcano” i canali istituzionali e i corpi intermedi.
Il Governo fino ad oggi ha proceduto con pomposi annunci di provvedimenti poi cambiati più volte e non seguiti da altrettanta concretezza operativa; gli interventi sono apparsi frammentari, imperniati nel dare poco a molti, ma non a tutti e in cui prevale la logica di interventi di breve respiro, ma a scapito di una loro strategicità; peraltro, non sono stati esaminate le iniziative intraprese da altri Paesi per comprendere perché stanno andando meglio dell’Italia e da che parte stanno andando per intercettare la crescita
Le cospicue somme che potrebbero arrivare dall’Ue sono in gran parte prestiti o trasferimenti legati a specifici progetti o programmi; quindi, bisogna essere in grado di richiederli e di spenderli in modo efficace ed efficiente e non dovrebbero diventare “un tesoretto a disposizione di questo o quel governo” da spolpare in favore di interessi corporativi o di gruppi di pressione.
Soprattutto va ricordato che stiamo mettendo in capo ai nostri figli e nipoti un gravoso onere debitorio che andrà in gran parte da loro onorato con notevoli sacrifici.

Euro Mazzi
 
 
PS: questo post fa parte di un ampio studio sulle problematiche relative alla crisi economica e finanziaria che da anni interessa l’Italia nel contesto europeo.

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