sabato 21 marzo 2020

CORONAVIRUS E I “TAGLI” ALLA SANITÀ PUBBLICA (prima parte)

La diffusione della pandemia Covid-19 ha riportato inevitabilmente in primo piano i problemi del funzionamento del Sistema Sanitario Nazionale (SSN), le differenze tra i vari sistemi sanitari regionali in termini di  efficienza ed efficacia, nonché la centralità della sanità pubblica rispetto a quella privata.
Inevitabilmente si è sviluppato un dibattito riguardante l’ammontare della spesa sanitaria e i “tagli” applicati nel tempo al settore, con tesi oscillanti e diversificate, ma accumunate da un giudizio generalmente negativo.
Molti commentatori hanno sottolineato come la sanità sia stata da tempo considerata “un peso finanziario da alleggerire”, condannando pesantemente i conseguenti “tagli” a ospedali, ambulatori, consultori, ma anche a medici, infermieri, professionisti e ricercatori sanitari.
Altri hanno emesso giudizi più articolati e documentati, come per esempio questo: “Nell’ultimo decennio tutti i Governi hanno contribuito a sgretolare il Servizio Sanitario Nazionale. Il finanziamento pubblico alla sanità ha subìto un taglio di 37 miliardi di euro: circa 25 miliardi tra il 2010 e il 2015; oltre 12 miliardi nel 2015-2019. L’Italia si trova al di sotto della media Ocse in questo senso: tra il 2009 e il 2018 l’incremento percentuale della spesa sanitaria pubblica si è attestato al 10%, contro il 37% degli altri paesi” (N. Cartabellotta, Fondazione GIMBE, del 3/3/2020).
Altre analisi hanno evidenziato i “tagli” organizzativi: “Un calo di risorse che ha riguardato sia le infrastrutture che il personale e che oggi, con un sistema sanitario sotto stress, appare ancora più drammatico. Le strutture ospedaliere sono state ridotte del 30 per cento circa negli ultimi dieci anni” (E.R. Ortigosa del 7/3/2020); ma altri hanno contestato il legame tra “tagli” alla spesa sanitaria e la riduzione del numero di ospedali e di posti letto, poiché queste ultime riduzioni hanno un trend in atto da almeno 25 anni (anche se negli ultimi 10 anni il numero di ospedali è diminuito da circa 1.200 a circa 1.000 e i posti letto sono diminuiti da circa 225 mila a circa 191 mila); queste riduzioni comunque non sono coincise temporalmente con una diminuzione della spesa sanitaria: “La riduzione dei posti letto e del numero di ospedali è una scelta che prescinde dalle politiche di riduzione della spesa pubblica per la sanità, come suggerisce l’andamento della spesa in questione. Affonda invece le sue radici nella scelta della deospedalizzazione da un lato e della maggiore assistenza domiciliare per i malati”(AGI del 14/3/2020). Quindi queste riduzioni di ospedali e posti letto sono il frutto di scelte organizzative (ridurre le ospedalizzazioni, aumentare l’assistenza domiciliare, potenziare le reti territoriali di laboratori, centri specializzati in prestazioni in day hospital, case di cura per anziani, ecc.) piuttosto che di reali “tagli” della spesa pubblica.
Si tratta di tesi e di impostazioni differenti su questioni complesse e assai articolate e, pertanto, è utile avviare un approfondimento.
La gran parte del dibattito si sofferma prevalentemente sul finanziamento statale della spesa sanitaria (che rappresenta una quota del 55,4% del totale), dimenticando come la spesa complessiva sia nettamente superiore; infatti, la spesa per la salute in Italia nel 2017 è stata complessivamente pari a 204,0 €/miliardi, così articolata:
a)      la spesa sanitaria vera e propria è stata pari a 154,9 €/miliardi, a sua volta costituita da 113,1  €/miliardi di finanziamento statale e da 41,8 €/miliardi di spesa privata; quest’ultima si suddivide in 35,9 €/miliardi a carico delle famiglie e in 5,8 €/miliardi intermediati da fondi/polizze sanitarie.
b)      la spesa sociale di interesse sanitario è stata pari a 41,8 €/miliardi, di cui 32,7 €/miliardi di spesa pubblica (provvidenze erogate dall’INPS) e 9,1 €/miliardi di spesa delle famiglie.
c)      la spesa fiscale sanitaria è stata pari a 7,2 €/miliardi per deduzioni e detrazioni di imposta dal reddito delle persone fisiche per spese sanitarie (3,8 €/miliardi) e per contributi versati a fondi sanitari integrativi (3,3 €/miliardi).
Dunque, manca ancora un’analisi complessiva della spesa sanitaria nella sua completa articolazione (che rimandiamo ad altri post); in questo post ci limiteremo ad alcune osservazioni sui problemi connessi al solo finanziamento statale.
In merito, occorre precisare, come la spesa sanitaria in termini assoluti sia cresciuta quasi costantemente negli ultimi 20 anni, passando da 71,3 €/miliardi del 2001 a 114,5 €/miliardi del 2019; per il 2020 il SSN viene finanziato complessivamente con 116,5 €/miliardi, di questi sono stati ripartiti tra le Regioni 113,3 €/miliardi per il fabbisogno sanitario standard e per le quote di premialità (0,3 €/miliardi).
Dunque, è evidente l’incremento costante nel periodo 2001-2020 del finanziamento statale al Fondo Sanitario Nazionale anche se questo incremento ha avuto una dinamica differenziata nel tempo: “Il finanziamento sanitario a carico dello Stato ha registrato un andamento di vivace crescita fino al 2008, cui è seguito un periodo di rallentamento della dinamica di incremento e con una flessione di segno negativo tra il 2011 e il 2013” (Corte Conti, delibera 13/2019, pag. 57).
Questi dati evidenziano come non si possa parlare di “tagli” diretti alla spesa sanitaria, (eccetto per il 2011-2013 per ragioni di congiuntura economica); il MEF evidenzia come si sia trattato di “contenimento della dinamica della spesa sanitaria che ha rallentato la costante crescita della spesa sanitaria: “La dinamica della spesa sanitaria corrente di CN ha subito nel tempo un forte rallentamento. A fronte di un tasso di crescita medio annuo del 6,4% nel quadriennio 2003-2006, il tasso di crescita del quinquennio successivo scende all’1,8%. Tale andamento si è ulteriormente consolidato nel periodo 2012-2018, dove la spesa sanitaria registra un tasso di variazione medio annuo pari allo 0,4%” (Il Monitoraggio della Spesa Sanitaria 2019, pag. 8).
La Fondazione Gimbe ha evidenziato, invece, un sostanziale “definanziamento” della spesa sanitaria dovuta al combinarsi di due fenomeni:
a) il mancato adeguamento all’inflazione, cioè l’incremento annuo dei finanziamenti statali in termini reali si sono di fatto ridotti perché non hanno tenuto il passo con l’aumento dei prezzi, riducendo la spesa sanitaria di anno in anno in termini reali (pur aumentandola per importo nominale); per esempio: “Nel decennio 2010-2019 il finanziamento pubblico del SSN è aumentato complessivamente di 8,8 miliardi di euro crescendo in media dello 0,9 per cento annuo, tasso inferiore a quello dell’inflazione media annua pari a 1,07 per cento” (Fondazione Gimbe del pag. 3).
b) i mancati aumenti alla spesa sanitaria preventivati per mantenere e adeguare il sistema sanitario alle problematiche attuali; ad esempio, per sostenere l’assistenza della popolazione anziana (invecchiamento: gli over 65 sono aumentati di quasi un terzo, passando da 10,6 a 13,7 milioni), poiché “Si calcola che ognuno di loro costi in media al servizio sanitario quasi il doppio rispetto a un giovane. Se vogliamo mantenere l’attuale qualità di servizi sanitari, quindi, la spesa in futuro è destinata ad aumentare” (Post del 15/3/2020).
L’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani ha introdotto nel dibattito alcune interessanti osservazioni incentrate sull’andamento della spesa sanitaria in rapporto al Pil per la sua caratteristica “ad U rovesciata”, in quanto: “Partita da circa il 5,5 per cento nel 2000, ha raggiunto un picco del 7,1 per cento nel 2009 per poi riscendere fino ai 6,5 punti percentuali registrati nel 2018. Dunque, in rapporto al Pil, nel 2018 la spesa è tornata ad un valore comparabile con quello del 2005 e comunque di un punto superiore a quello del 2000”(Luca Gerotto, L’evoluzione della spesa sanitaria, 14/3/2020).
Questo calo in termini reali della spesa è derivato da almeno due fattori: “Il primo è che il rallentamento della crescita del Pil ha costretto il legislatore a ridurre la crescita del finanziamento al Servizio Sanitario Nazionale (SSN). Il secondo è che la spesa sanitaria tendeva a crescere anche a causa di disavanzi elevati riscontrati in diversi Servizi Sanitari Regionali (SSR), e che dal 2007 in avanti queste regioni sono state, ed alcune sono tuttora, soggette a dei piani di rientro finanziari” ”(Luca Gerotto, L’evoluzione della spesa sanitaria, 14/3/2020).
Infine, l’Osservatorio ha evidenziato come la spesa sanitaria, pur non calata in termini nominali negli ultimi anni, abbia modificato notevolmente la sua composizione interna, in particolare per due voci: la spesa per i redditi da lavoro dipendente e quella per consumi intermedi.
Il “definanziamento” pubblico degli ultimi anni ha gravato prevalentemente sul personale sanitario dipendente e convenzionato: “Nel 2002, infatti, la spesa per redditi da lavoro dipendente costituiva il 35% del totale; nel 2018 pesava solo per il 30%. Per questa voce si è verificato un calo anche in termini nominali: rispetto al picco di 36,7 miliardi, registrato nel 2010, nel 2018 si era scesi a 34,8 miliardi. Questa diminuzione, sia in termini percentuali che nominali, è stata la conseguenza del congelamento degli stipendi della pubblica amministrazione, che negli anni precedenti erano cresciuti molto di più degli stipendi privati, e del blocco del turnover, in particolar modo in quelle regioni soggette a piani di rientro” (Luca Gerotto, L’evoluzione della spesa sanitaria, 14/3/2020).
Sono, invece, cresciuti notevolmente i consumi intermedi (in particolare le voci relative a  farmaci ed emoderivati e dispositivi medici, ma anche manutenzioni e godimento di beni di terzi e  servizi appaltati): “questi nel 2002 valevano il 20,3 per cento, mentre nel 2018 è stato toccato il 29,8 per cento; la crescita è stata rallentata negli ultimi anni dalle manovre di contenimento della spesa sanitaria per beni e servizi varate fra il 2011 ed il 2013. Tale aumento è dovuto principalmente all’aumento della spesa per prodotti farmaceutici (passati dal 3,3 al 10,1 per cento). A sua volta, tale crescita è dovuta in parte all’acquisto di costosi farmaci innovativi ed in parte ad una rimodulazione della spesa, passata dalla farmaceutica convenzionata (scesa nello stesso arco di tempo dal 15,0 al 6,5 per cento) a, per l’appunto, l’acquisto diretto dei prodotti farmaceutici. Questo implica che alcuni farmaci vengono acquistati attraverso un canale diverso, e quindi contabilizzati in modo diverso. A questo fenomeno si è aggiunta una crescita delle altre componenti dei consumi intermedi slegati dalla spesa farmaceutica, che sono passati dal 17,0 al 19,7 per cento” (Luca Gerotto, L’evoluzione della spesa sanitaria, 14/3/2020).
Anche il MEF concorda sull’importanza crescente di quest’ultima voce: “Deve rilevarsi, peraltro, che l’andamento complessivo dell’aggregato sconta la dinamica della componente dei prodotti farmaceutici acquistati direttamente dalle aziende sanitarie, che registra tassi di crescita sostenuti sia a seguito della continua introduzione di costosi farmaci innovativi (specie in campo oncologico) sia per effetto delle politiche di incentivazione della distribuzione diretta dei farmaci attuate in diversi SSR, con conseguente rimodulazione della spesa, dalla farmaceutica convenzionata ai prodotti farmaceutici” (Il Monitoraggio della Spesa Sanitaria 2019, pag. 8).
Quest’ultima osservazione apre uno scenario ancora più vasto, importante e particolarmente attuale: l’incremento costante del costo di gestione delle malattie derivante dall’evoluzione nelle strategie di cura delle malattie e nei percorsi di assistenza e cura dei pazienti (studi a livello biologico dei processi fisiopatologici, sviluppo di strumenti di ausilio nella diagnosi, progresso delle biotecnologie, produzione di nuovi farmaci da molecole di sintesi chimica, medicinali biologici e terapie avanzate, ecc.).
Per far fronte a questi incrementi di spesa basterebbe ridimensionare gli sprechi e le inefficienze che, annidandosi a tutti i livelli, erodono le già limitate risorse del SSN; l’impatto degli sprechi sulla spesa sanitaria pubblica nel 2017 è stato stimato in 21,5 €/miliardi, così ripartiti: - 6,4 €/miliardi da sovra-utilizzo di servizi e prestazioni sanitarie inefficaci o inappropriate; - 4,7 €/miliardi derivanti da frodi e abusi; -  2,1 €/miliardi provenienti da acquisti a costi eccessivi; - 3,2 €/miliardi per sotto-utilizzo di servizi e prestazioni efficaci e appropriate; -  2,3 €/miliardi da inefficienze amministrative; - 2,5 €/miliardi a causa dell’inadeguato coordinamento dell’assistenza.
In conclusione.
Davanti all’emergenza odierna occorre operare per assicurare la massima tutela della salute e della vita; dopo però bisognerà affrontare le problematiche legate al buon funzionamento della sanità pubblica, riaffermando la sua centralità e rivendicando una migliore capacità di garantire cure adeguate ed efficace per tutti; mettere la salute al centro di tutte le decisioni politiche non solo sanitarie, ma anche ambientali, industriali, sociali, economiche e fiscali; ricercare la sostenibilità economica e finanziaria del SSN non come fine assoluto (“i tagli”), ma in relazione con altre componenti (come ad esempio: ottimizzare l’uso di risorse definite e scarse; la riduzione degli sprechi e delle inefficienze, reinvestendo le risorse recuperate in servizi essenziali e innovazioni; finanziare la ricerca clinica e organizzativa; programmare il fabbisogno e la formazione del personale; ecc.).
Ci vorrà del tempo perché i problemi sono molti, complessi e articolati, ma servono soluzioni efficaci e scelte politiche future precise e più responsabili.

Euro Mazzi




PS: questo post fa parte di un ampio studio sul Sistema Sanitario Nazionale, Ligure e Spezzino, un mondo “poco conosciuto”, nonostante sia al centro del dibattito politico e risulti di fondamentale importanza per assicurare la soddisfazione dei bisogni di salute dei propri assistiti.


Post sul sistema Ospedaliero Spezzino:
1) IL TORMENTATO APPALTO DEL NUOVO FELETTINO: QUI
2) LE TORMENTATE VICISSITUDINI DEL NUOVO OSPEDALE SPEZZINO: QUI
3) SPRECHI SANITA': IL REPARTO AIDS MAI NATO DEL FELETTINO: QUI
4) NUOVO OSPEDALE: ALLA RICERCA DI UN DEA PERDUTO …: QUI

Post sull’ASL5 Spezzino:
1) ASL5 SPEZZINO: UNA “FATICOSA” SPESA SANITARIA: QUI
2) ASL5 SPEZZINO: UNA “FUGA” PROBLEMATICA …: QUI

Per vedere gli altri post sul sistema sanitario Ligure e Spezzino:
1) SANITÀ LIGURIA: LAVORI IN CORSO … : QUI
2) SANITÀ: L’ ORGANIZZAZIONE DELL’ASL5 SPEZZINO:  QUI
3) SANITÀ: LE RISORSE UMANE DELL’ASL5 SPEZZINO: QUI
4) SANITÀ: IL RENDICONTO ECONOMICO DELL’ASL5 SPEZZINO: QUI
5) SANITÀ: LE RISORSE PATRIMONIALI DELL’ASL5 SPEZZINO: QUI
6) SANITÀ: ASPETTI E PROBLEMI DELL’ASSISTENZA OSPEDALIERA: QUI
7) SANITÀ: ALCUNE PROBLEMATICHE DELL’ASSISTENZA TERRITORIALE NELL’ASL5 SPEZZINO: QUI
8) IL DISTRETTO SOCIOSANITARIO: PROBLEMI E PROSPETTIVE: QUI
9) L’ASSISTENZA SOCIO-SANITARIA TERRITORALE: ALCUNI PROBLEMI DI SVILUPPO: QUI
10) GLI AMBITI TERRITORIALI SOCIALI: PROBLEMI E PROSPETTIVE: QUI
11) DISTRETTO SOCIOSANITARIO: IL POLIAMBULATORIO “A. SEPPILLI”: QUI

Per vedere gli altri post sulla riforma sanitaria Ligure:
1) RIFLESSIONI SUL PIANO SOCIOSANITARIO REGIONALE 2017-19: QUI
2) PIANO SOCIOSANITARIO: ACCENTRAMENTO ORGANIZZATIVO E DIREZIONALE:

Altri post su questi argomenti:
1)  SPESA SANITARIA: IL CASO DELL’AMPLIAMENTO DELLA CASA DELLA SALUTE DI SARZANA: QUI
2)  SPESA SANITARIA: LE PROSPETTIVE IMMOBILIARI NELL’AREA DELL’EX OSPEDALE VECCHIO DI SARZANA: QUI
3)  SPESA SANITARIA: l’INTERVENTO DEI FONDI IMMOBILIARI NELL’OPERAZIONE EX OSPEDALE VECCHIO DI SARZANA: QUI
4)  LA PRIMA CARTOLARIZZAZIONE DEI BENI DELLE ASL LIGURI: QUI
5)  LA SECONDA CARTOLARIZZAZIONE DEI BENI DELLE ASL LIGURI: QUI
6)  CARTOLARIZZAZIONE IMMOBILI REGIONALI: IL CASO ARTE GENOVA: QUI
UNA CONVENZIONE SUPERFICIALE, IL RISCHIO DI UN FLOP SUI SERVIZI SOCIALI: QUI

Altri post sui problemi dei servizi sociali:
APPROSSIMAZIONE AMMINISTRATIVA NELLA GESTIONE DEI SERVIZI SOCIALI: QUI
SERVIZI SOCIALI A CASTELNUOVO MAGRA … INIZIAMO A METTERE ORDINE E POI VERIFICHIAMO: QUI
BILANCIO 2017: servizi sociali tra opacità e poche risorse: QUI
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