sabato 18 aprile 2020

CORONAVIRUS - il MES e ... (terza parte)

Nell’Eurogruppo del 9/4/2020 è stato raggiunto un “compromesso” sugli interventi per fronteggiare le pesanti conseguenze economiche della pandemia-covid19; l’accordo è articolato in 23 punti, i principali punti sono i seguenti:
1)   la flessibilità di bilancio (punto 8 e 11 – “Flexibility in EU rules) accompagnata dalla sospensione generalizzata dei vincoli posti dal Fiscal Compact (punto 11 – “Financial Stability”), cioè può essere aumentato il deficit pubblico di ogni Stato;
2)   l’utilizzo dei residui del Fondo di coesione comunitaria (punto 9 - “Coronavirus Response Investment Initiative”) di 37 €/miliardi, con riduzione dei vincoli nel loro uso (eliminazione dell’obbligo del cofinanziamento con ulteriori risorse nazionali, lasciando agli Stati la possibilità di spendere più facilmente queste risorse);
3)   l’intervento monetario della BCE (punto 10 - “PEPP - Pandemic Emergency Purchase Programme”) di 300+750 €/miliardi per sostenere la liquidità (quantitative easing”);
4)   un fondo di emergenza (punto 14 - “Emergency Support”) di 2,7 €/miliardi per un sostegno immediato ai sistemi sanitari nazionali;
5)   un Fondo di garanzia dei Paesi europei (punto 15 - “Pan European guarantee Fund”) di 25 €/miliardi per consentire alla BEI (Banca Europea degli Investimenti) di reperire sui mercati fino a 200 €/miliardi da convertire successivamente in prestiti agevolati alle imprese, con un’attenzione particolare alle PMI (un impegno degli Stati membri a farsi carico di queste risorse iniziali non con versamenti, ma con garanzie);
6)   una nuova linea di credito del MES (punto 16 - “Pandemic Crisis Support”) ammontante a 410 €/miliardi destinato al rafforzamento dei sistemi sanitari interni e delle spese per l’emergenza, erogabile su richiesta per un massimo del 2% del Pil 2019 (per l’Italia significa un possibile finanziamento di circa 36 €/miliardi); prestito senza condizioni macroeconomiche e con modalità, tempi di restituzione e tassi ancora da definire, ma con l’impegno che “Successivamente, gli Stati membri dell'area dell'euro rimarranno impegnati a rafforzare i fondamenti economici e finanziari, coerentemente con i quadri di coordinamento e sorveglianza economica e fiscale dell'UE, compresa l'eventuale flessibilità applicata dalle competenti istituzioni dell'UE” (cioè dopo si ripristineranno i parametri economici ora sospesi e quindi impegno a ridurre il deficit e il debito);
7)   la cassa integrazione europea (punto 17 - “Sure - State sUpported shoRt-timE work”) di 100 €/miliardi per ridurre i rischi della perdita massiccia di posti di lavoro a causa della crisi derivante dalla pandemia; sono ancora da chiarire le caratteristiche di questo strumento (garanzia, modalità di restituzione, livellamento dei differenziali tra i vari Paese), comunque sono prestiti da restituire;
8)   strumenti finanziari innovativi (punto 19 - “Recovery Fund”) per 500 €/miliardi; si tratterebbe di un fondo finanziato da obbligazioni congiunte (una variazione rispetto alla proposta di “eurobond o coronabond”) per rilanciare le economie dell’UE, ma si tratta solo di una  proposta (non ancora definita) da sottoporre al Consiglio Europeo e alle decisioni sul prossimo bilancio EU 2021-2027 e, quindi, con tempi lunghi di approvazione.
Questo accordo è stato positivamente commentato dal ministro dell’Economia: “Messi sul tavolo i bond europei, tolte dal tavolo le condizionalità del Mes. Consegniamo al Consiglio europeo una proposta ambiziosa. Ci batteremo per realizzarla” (tweet di R. Gualtieri del 9/4/2020); ma questo “compromesso” ha scatenato le opposizioni (Lega e FdI) contrarie in particolare all’attivazione del MES, così come alcuni parlamentari del M5S si sono mostrati insoddisfatti verso una strategia del Governo che è apparsa “ondivaga” tra il considerare il MES come strumento non idoneo: “L’Italia non ha bisogno del MES che giudica uno strumento inadeguato e insufficiente” (dichiarazione Conte del 10/4/2020) oppure positivo “è stato compiuto un deciso passo avanti” in relazione all’assenza delle condizionalità tipiche del MES (dichiarazione Conte del 16/4/2020).
Del resto, gli esponenti dei partiti sono spaccati non solo sul MES, ma anche nel giudizio espresso sulla politica europea, nonché sui provvedimenti emergenziali a livello governativo e/o regionale; si tratta di fibrillazioni fumose, ma che potrebbero determinare rapidi e profondi sconvolgimenti.
C’è costante polemica, ma manca una seria analisi della situazione, manca un dibattito su cosa/come/tempi dell’intervento pubblico, mancano provvedimenti programmatici per contrastare la recessione post pandemia; il differente giudizio e il conseguente scontro tra esponenti e tra i partiti è spesso pura propaganda per le rispettive tifoserie, amanti della rissa da contrapposizione ideologica e di schieramento che trascende da una analisi di merito e soprattutto di prospettiva che andrebbe invece opportunamente svolta proprio per le importanti implicazioni attuali e future.
Per esempio, si discute sul MES, ma nessuno spiega perché sarebbero utili quei 36 €/miliardi, cioè quale sarebbe il piano programmatico per utilizzare quei fondi; sembra importante solo reperire finanziamenti in quantità sempre crescenti, ma nessuno dice a cosa dovrebbero servire; così si rischia di fare una gara a chi propone il “bonus” più alto per una categoria o un settore, oppure per invocare “aiuti a pioggia” senza preoccuparsi né chi dovrà ripagare questi interventi, né le prospettive macroeconomiche dei prossimi mesi/anni.  
In questo contesto, manca un equilibrato giudizio sul “compromesso” raggiunto in sede europea, il quale ha aspetti sicuramente positivi, poiché si tratta di proposte articolate e quantitativamente sostanziose (un piano del valore complessivo da 1.000 €/miliardi), ma sono proposte appena delineate che necessitano di ulteriore definizione e, quindi, presuppongono tempi non brevi per diventare operative ed efficaci. Per l’immediato esistono solo due strumenti peraltro decisi in precedenza: a) la concessione della flessibilità di bilancio e della sospensione dei parametri europei; b) il concreto e consistente intervento della BCE (in particolare con il “quantitative easing”).
Gli “eurobond” proposti dall’Italia (e da altri Paesi) sono “spariti” dal testo finale del “compromesso” e trasformati in un “fumoso e indefinito Recovery fund” che avrà un processo negoziale lungo e, comunque, sarà dotato di condizionalità; gli altri strumenti messi in campo avranno tempi lunghi e, comunque, sono tutti prestiti europei che vanno restituiti in tempi e a condizioni ancora da stabilire. In sostanza, il “compromesso” europeo  ha previsto solo nuovo debito pubblico a carico dello Stato utilizzatore, spostando al termine dell’emergenza sanitaria le problematiche connesse alla riduzione del deficit e del debito pubblico per rispettare i parametri economici (ora soltanto sospesi); dalla recessione post pandemia si passerà così ad una nuova politica di austerità per rientrare dai debiti eccessivi, confermando che l’eurozona continuerà ad avere una bassa crescita economica per molto altro tempo.
Per alcuni Paesi (compresa l’Italia) che sono contributori netti (cioè versano di più al bilancio comunitario di quanto poi percepiscono), questi fondi europei non sono altro che una parte di quanto versato all’UE, la quale poi le ri-attribuisce ai singoli Stati come “Fondi/prestiti europei”.
In tal senso è eclatante il caso del MES: l’Italia ha già versato circa 14,3 €/miliardi al capitale del MES, ed ha contribuito con altri 43,9 €/miliardi ai diversi meccanismi di salvataggio; con la nuova linea di credito potrà ri-avere al massimo 36 €/miliardi. L’Italia ha, però, una singolare situazione rispetto ad altri Paesi-contributori, poiché per versare le proprie quote si è dovuta indebitare sul mercato, emettendo titoli di Stato (su cui paga interessi), con l’assurdo sia di dover restituire somme già in precedenza versate, che pagare gli interessi due volte (sia sui titoli a suo tempo emessi per il versamento sia sul prestito del MES eventualmente ricevuto).
In questo contesto, la situazione italiana è preoccupante: da una parte sopporterà un crollo del PIL di circa il 9%, dall’altra, vedrà un consistente aumento del deficit pubblico all’8,3% e un rapporto debito/PIL al 155,5% (previsioni FMI del 15/4/2020); l’intervento della BCE nel 2020 (il “quantitative easing”) terrà lo spread sotto i livelli di guardia, rendendo possibili nuove emissioni di titoli (250 €/miliardi nuovi e 350 €/miliardi per rinnovo di vecchi titoli a scadenza); ma il problema si ripresenterà nel 2021 più aggravato dalla circostanza che allcuni Paesi europei avranno già superato l’attuale recessione e il divario con l’Italia aumenterà inesorabilmente.
In conclusione. L’Italia è ancora in piena emergenza sanitaria e ora è entrata in una grave recessione, ma è da anni con una economia quasi a crescita zero; se non può e non deve aprire una vertenza con L’UE, non può nemmeno continuare come in questi ultimi anni, avendo un preoccupante futuro davanti.
Bisogna prendere atto della gravità della situazione per trovare soluzioni eccezionali e innovative da attivare in tempi brevi, riducendo al minimo possibile l’aumento dell’indebitamento dello Stato, già destinato inevitabilmente a crescere per finanziare gli interventi indifferibili per ridurre i danni della crisi.
Qualche esempio. Alcuni hanno proposto alla Bce di monetizzare parte sia delle spese per l’emergenza sanitaria che di quelle necessarie a non far crollare del tutto l’economia (una opzione attualmente vietata dai Trattati europei), oltre a intervenire per ridurre le fluttuazioni eccessive dei tassi sui debiti sottoposti a speculazione.
Altri hanno proposto di attivare il risparmio italiano privato per finanziare un prestito non forzoso di 300 €/miliardi con titoli di Stato desinati specificamente a sostenere la ripresa da affiancare al varo delle necessarie riforme: “La tragedia che stiamo vivendo può essere considerata uno spartiacque. La prova avrà la stessa importanza di quella affrontata e vinta nel dopoguerra (…) Le riforme dell’impresa, del lavoro, del Fisco, della scuola, per ritrovare la produttività (…) La patrimoniale non è possibile politicamente, e darebbe un gettito inferiore alle aspettative. Penso a un grande prestito non forzoso, finanziato dagli italiani e garantito dai beni dello Stato (…) se si mantiene questa virtù civica e repubblicana, possiamo realizzare un grande piano di ricostruzione nazionale. Non bastano cento miliardi; ne servono trecento. Meno del 7% della ricchezza finanziaria delle sole famiglie potrebbe segnare la svolta che cambia la storia d’Italia” (G. Bazoli Corriere della Sera del 4/4/2020)
Altri ancora hanno proposto l’emissione di “Moneta Fiscale”, cioè di uno strumento di liquidità in grado di arrivare a chi è pronto a spenderlo, utilizzabile anche come mezzo di pagamento ad accettazione volontaria, garantito del diritto a scontare le tasse future.
Soprattutto serve un “piano di ricostruzioneche riveda le entrate e i meccanismi di spesa, servono le buone riforme (per semplificare e snellire le procedure, per verificare e controllare efficacemente, ecc.), gli investimenti pubblici (in infrastrutture, sanità, istruzione, difesa dell’ambiente e governo del territorio, ecc.) e le politiche industriali di lungo periodo con l’obiettivo di una piena e buona occupazione; ma alla lunga bisogna prepararsi già ora ad affrontare i molti e gravi problemi di sostenibilità del debito pubblico, facendosi trovare con i conti in ordine.

Euro Mazzi

 
PS: questo post fa parte di un ampio studio sulle problematiche relative alla crisi economica e finanziaria che da anni interessa l’Italia nel contesto europeo.
Post sulle conseguenze della pandemia:
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-  CORONAVIRUS E LA PESANTEZZA DEL DEBITO PUBBLICO: QUI
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Post sul MES e l’Europa:
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MES: UNA “CALAMITÀ" PER L’ITALIA?: QUI

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