martedì 2 giugno 2020

BIODIGESTORE DI SALICETI: L’ACQUA È TUTELATA? (ottava parte)

La società Recos ha depositato (prima della scadenza del 15/5/2020) la documentazione integrativa, impostata e organizzata in modo formalmente aderente alle richieste del 18/10/2019 della Regione, ma per valutare la reale “ottemperanza” alle richieste regionali occorre esaminare nel merito questa documentazione.
Data l’articolazione delle richieste integrative, in questo post ci limitiamo ad esaminare la problematica (più controversa) contenuta nel comparto tematico n. 1: “vulnerabilità dell’acquifero e gestione delle acque - richieste di integrazione 1-10”; in sostanza occorre capire come la società Recos intende preservare la risorsa idrica dell’acquifero della bassa valle del Magra, nonostante la costruzione del nuovo biodigestore. 
Va sottolineato come Recos abbia (rispetto alla prima documentazione progettuale) presentato ora nuovi studi e nuove soluzioni (riguardanti sia gli impianti, sia i processi lavorativi che i controlli e la sicurezza) con l’evidente intenzione di rassicurare sull’aumentata tutela dell’acquifero; si tratta di un fatto positivo, conseguenza sia della procedura di VIA e delle integrazioni richieste dagli uffici regionali che dell’articolata lotta degli oppositori alla realizzazione dell’impianto.
Lo studio del prof. Ronchetti (“Modello numerico di flusso di trasporto delle acque sotterranee della bassa Val Magra tra il Polo Integrato di Trattamento e Recupero dei Rifiuti in Località Saliceti -ReCos S.p.A. - e i campi pozzi di Fornola”) colma alcune delle lacune presenti nella documentazione originaria del progetto di biodigestore; questo studio descrive il comportamento dell’acquifero (interazione falda e fiume) e le modalità di alimentazione dei pozzi di acqua presenti in Fornola, giungendo alla conclusione che: “Le caratteristiche idrogeologiche ed idrochimiche dell’area, come peraltro già evidenziato da altri Autori, evidenziano la presenza di continui scambi fiume-falda e la presenza di una elevata infiltrazione verticale. Tali aspetti oltre a favorire una continua ricarica dell’acquifero favoriscono una continua miscelazione, capace di produrre un elevato scambio tra le acque sotterranee e le acque superficiali” (Ronchetti, pag. 134).
Stabilita questa forte interazione fiume-falda, lo studio evidenzia l’esistenza di una peculiare “scorciatoia”: “Le acque si infiltrano nel materasso alluvionale nella zona di Albiano in sponda sinistra, alimentano l’acquifero lungo le principali linee di drenaggio sotterraneo disegnando una sorta di scorciatoia rispetto all’alveo attuale del fiume, in accordo con la possibile esistenza di un paleo-alveo caratterizzato dalla presenza di depositi ghiaiosi ad elevata permeabilità” (Ronchetti, pag. 16) e, quindi, l’area interessata dal biodigestore risulta essere adiacente o soprastante a questo acquifero (bisognerebbe conseguentemente indagare anche il “potenziale inquinante” di altre attività presenti in zona, specie quelle relative alla gestione dei rifiuti, ad esempio l’impianto Costa Mauro sas in loc. Albiano M. e l’impianto TMB riservato al trattamento di rifiuti urbani indifferenziati, non pericolosi, per la trasformazione in CDR).
Lo studio propone una modellazione 3D e 2D che ha evidenziato quali sono le linee di flusso più probabili che collegano il sito del biodigestore con i campi pozzi di Fornola in sponda sinistra e quelli in sponda destra o direttamente al Fiume Magra: “I risultati mostrano come vi siano flussi probabili (…) caratterizzati da traiettorie che: collegano il sito di progetto al campo pozzi di Fornola DX, passando ad ovest del campo pozzi di SX ed attraversando in profondità il F. Magra immediatamente a monte della ferrovia; collegano il sito di progetto al campo pozzi di Fornola DX, passando in prossimità o a est del campo pozzi di SX ed attraversando il F. Magra a valle della ferrovia” (Ronchetti, pag. 135-6).
Su queste basi, la modellazione realizzata evidenzia come eventuali inquinanti (rilasciati accidentalmente dallo stabilimento in progetto): “in assenza di adsorbimento e biodegradazione, e in assenza di opere barriera di protezione, possono arrivare al campo pozzi di SX dopo 120 giorni (tempo di primo arrivo di un’inquinate molto diluito) e 235 giorni (tempo di picco). I tempi di percorrenza non mostrano grandi variazioni di velocità (dell’ordine di 5-10 m/g) al variare stagionale delle forzanti esterne. Anche l’andamento dei flussi non subisce variazioni importanti al variare del regime idrologico” (Ronchetti, pag. 135).
Lo studio ritiene che la tutela dell’acquifero si possa realizzare:
a) per via naturale; un inquinante (rilasciato accidentalmente dal sito di progetto), grazie ai continui scambi fiume-falda, all’attraversamento nel sottosuolo in profondità e ai tempi di percorrenza, subisce  una forte diluizione e abbattimento della sua concentrazione” (Ronchetti, pag. 136);
b) con la predisposizione di difese attive mediante la realizzazione di due soluzioni impiantistiche:
1) una rete di monitoraggio dell’insediamento in progetto, dotata di sensori in continuo ubicati in piezometri o nelle immediate vicinanze delle vasche di raccolta, finalizzato a controllare l’assenza di perdite accidentali nel sottosuolo, in maniera da celermente attivare i due pozzi barriera;
2) due pozzi barriera (di portata 1200 m3/g, ciascuno) opportunamente collocati a valle dell’impianto servono (nel caso di eventuale perdita/sversamento) per impedire l’ulteriore migrazione degli inquinanti.
Conseguentemente è stato presentato:
- un “Piano di monitoraggio” (una rete di piezometri attrezzati per la misura in continuo di parametri sensibili, posizionati sia all’interno dell’area impianto sia in corrispondenza dei campi pozzi) che, in caso di registrazione di anomalie nei parametri, faccia scattare procedure di intervento (distinte in: Fase di Pre-allerta e Fase di Allerta) con prelievo ed analisi delle acque sotterranee, procedure da riportare nel Piano di Sicurezza al fine di ridurre ed ottimizzare i tempi di intervento;
- una specifica progettazione dei due pozzi di barriera idraulica in grado di intercettare eventuali fenomeni di inquinamento provenienti dalle aree dell’impianto, con conseguente predisposizione di n. 4 cisterne (capacità 40-50mc cad.) da utilizzare per eventuale primo stoccaggio delle acque emunte in caso di attivazione pozzi barriera e successivo trasporto presso centro di smaltimento autorizzato oppure con un possibile scarico nel canale Gora dei Mulini (Piano di Monitoraggio, pag. 33).
In conclusione.
Questi nuovi studi hanno comportato una migliore definizione geologica e idrogeologici del sito di Saliceti ora finalmente classificato come a vulnerabilità elevata e hanno evidenziato il legame falda-fiume e le modalità di alimentazione dei pozzi di acqua in Fornola; si tratta di un fatto positivo che chiarisce molti aspetti e stabilisce un punto fermo di riferimento.
In merito, va osservato che aveva torto la società Recos quando negava ogni rischio: “è stato paventato il rischio per le falde acquifere, ma in realtà non c’è nessun pericolo per i pozzi di Fornola, visto che si trovano a quasi due chilometri di distanza, mentre la norma prevede una lontananza minima di 200 metri” (dichiarazione di Piercarlo Castagnetti del 16/5/2019); al contrario avevano ragione i Comitati che si oppongono alla realizzazione del biodigestore a Saliceti: “Nessuno può escludere del tutto l’imprevisto e il rischio di contaminazione della falda acquifera. Per il principio di precauzione già solo questo dovrebbe bastare a valutare il rigetto immediato della procedura autorizzativa in corso e la revisione del Piano dei rifiuti. In gioco non ci sono solo la qualità della vita dei cittadini di Santo Stefano Magra e Vezzano Ligure, ma anche l’approvvigionamento di acqua potabile per 150mila persone tra La Spezia e la Val di Magra” (dichiarazione del 22/10/2019).
Soprattutto aveva ragione la SAT (Società Acquedotti Tirreni Spa che gestisce i pozzi di Fornola (per la fornitura all’ingrosso di acqua per circa 4 milioni di metri cubi), che riteneva inappropriata e pericolosala localizzazione del biodigestore a Saliceti per la “vulnerabilità per eventuali pericoli a monte delle zone pozzi” e per il rischio derivante da eventuali fuoriuscite di liquami che “in breve tempo porterebbero alla chiusura dei pozzi e all’interruzione della fornitura di acqua potabile senza possibilità di sostituzione perché non esiste un collegamento di emergenza con altri pozzi” (SAT, lettera del 19/8/2019).
Occorre richiamare quanto già in precedenza affermato: “Si tratta di un problema “tremendamente serio” che andrebbe affrontato con oggettività, pacatezza e serietà, ricercando eventualmente soluzioni idonee, non bastando né semplicistiche rassicurazioni, né le allarmanti ma generiche indicazioni di pericolo” (vedere questo post: QUI).
I nuovi studi ora presentati da Recos non escludono scenari di contaminazione della falda-fiume e dei pozzi sponda destra e sinistra in Fornola, ma questa possibilità è ritenuta dalla stessa società realistica, sebbene ipotetica, ma con scarsa possibilità di effettiva incidenza per:
a) i nuovi accorgimenti costruttivi ora adottati “per lo stoccaggio e i trasferimenti dei reflui nel sito di progetto vengono in aiuto a proteggere il sottosuolo da fenomeni accidentali che possono facilmente generare inquinanti, che si infiltrano nel sottosuolo, riducendo di conseguenza sensibilmente i tempi e le masse degli scenari di pericolo” (Ronchetti, pag. 134);
b) per le stesse caratteristiche dell’acquifero: “acquifero libero, caratterizzato da una soggiacenza limitata, molto permeabile e poroso, ricaricato continuamente da eventi di pioggia e dai corsi d’acqua superficiali che contribuiscono al continuo apporto di ossigeno in falda” (Ronchetti, pag. 67);
c) per l’azione di diluizione: “L’acquifero sottostante il sito in progetto esercita una forte diluizione sulla quantità di inquinante rilasciato” (Ronchetti, pag. 124);
d) per le due nuove soluzioni impiantistiche: una rete di monitoraggio e i due pozzi barriera.
Dunque, rispetto alla prima versione il progetto è sicuramente migliorato, ma permane il problema di tutelare la risorsa idrica contenuta nell’acquifero della bassa val Magra e i pozzi acquedottistici dall’eventuale rischio di contaminazione delle stesse, specie nel caso di “eventi straordinari” (sisma e inondazione) ancora poco indagati.
Il principio di precauzione (azione intrapresa allo scopo di anticipare, identificare, ridurre o eliminare l’impatto delle sorprese) dovrebbe spingere tutti a individuare il punto di equilibrio in ordine all’accettabilità e alla gestione dei rischi che derivano da questa attività industriale nell’interesse dell’ambiente e della salute umana, poiché anche solo un ragionevole timore dovrebbe essere già sufficiente a sollecitare l’assunzione di una adeguata misura preventiva.
Questa attenzione deve essere maggiore soprattutto per questi nuovi impianti (ma occorre recuperare una capacità di controllo anche sugli impianti già esistenti a cominciare dall’impianto TMB di Saliceti) situati lungo il fiume per evitare (data la “vulnerabilità elevata) che la falda, il fiume e la zona pozzi possano essere contaminate, provocando un danno ambientale rilevantissimo e conseguenze gravi all’approvvigionamento di acqua potabile per la popolazione.

Euro Mazzi 
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2)  BIODIGESTORE DI SALICETI: GLI AFFARI NELLA “RUMENTA”: QUI
3)  BIODIGESTORE DI SALICETI: PER LA TUTELA DELLA FALDA ACQUIFERA: QUI
4)  BIODIGESTORE DI SALICETI: IMPIANTO SI O NO?: QUI
5)  BIODIGESTORE DI SALICETI: PRIMI PARZIALI RISULTATI: QUI

6)  BIODIGESTORE DI SALICETI: SI CHIUDE IL CICLO DEI RIFIUTI?: QUI
7)  BIODIGESTORE DI SALICETI: INTEGRAZIONI LACUNOSE: QUI

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