sabato 2 maggio 2020

CORONAVIRUS E I RISCHI PER LE PENSIONI (quinta parte)

L’emergenza dovuta alla pandemia Covid-19, oltre ai già gravi problemi sanitari, sta determinando una recessione economica a livello sia europeo che italiano; in Italia questa crisi economica si preannuncia con aspetti più gravi, poiché è destinata ad accentuare le già preesistenti criticità:
- dopo un lungo periodo di bassa crescita è previsto una netta riduzione del PIL: “in considerazione della caduta della produzione e dei consumi già registrata e delle difficili prospettive di breve termine, il DEF stima che l’economia registrerà una complessiva caduta del PIL reale nel 2020 di 8 punti percentuali”;
- un aumento della spesa pubblica a fronte di minori entrate che comporterà un ulteriore dilatazione del debito pubblico;
- in conseguenza della riduzione del PIL e dell’aumento del debito pubblico: “il rapporto debito/PIL è stimato in aumento di 17 punti percentuali, fino al 151,8%” (DEF 27/4/2020), un livello generalmente ritenuto “eccessivo”.
Questa recessione potrebbe portare il rischio della chiusura di molte attività con l’aumento del ricorso alla Cassa Integrazione e la possibile perdita di posti di lavoro, con conseguente riduzione del versamento dei contributi previdenziali pregressi e futuri, riducendo così le entrate dell’INPS, squilibrando ulteriormente il sistema previdenziale italiano, poiché a fronte di meno attivi (cioè le persone nelle condizioni di versare contributi) ci saranno da pagare le attuali prestazioni pensionistiche a cui si aggiungeranno quelle destinate a chi acquisirà nei prossimi mesi/anni il diritto di andare in pensione.
Gli effetti immediati di questa recessione hanno costretto il Governo ad adottare alcune misure a sostegno del reddito (ad esempio: la sospensione del pagamento dei contributi per tre mesi; l’erogazioni a circa 11 milioni di persone della cassa integrazione, del bonus agli autonomi e di altri sussidi con un esborso di circa 10 €/miliardi), prestazioni poste in capo all’INPS; inoltre, con riferimento ai contributi sociali, le previsioni del DEF 2020 indicano un decremento del 5,2% nel 2020 (229,4 €/miliardi circa rispetto ai 242 €/miliardi nel 2019), mentre nel 2021 è stimato un parziale recupero nell'ordine del 3%.
In questo contesto, si sono diffuse false notizie in merito alla scarsità di liquidità dell’INPS che avrebbero determinato il blocco del pagamento delle pensioni; il presidente dell’Inps ha subito smentito la veridicità di tali affermazioni: “Non esiste nessun rischio di blocco per il pagamento delle pensioni, sono garantite dallo Stato e saranno pagate sempre (…) anche se il nostro sistema è a ripartizione – cioè i lavoratori attuali pagano le pensioni con i loro contributi – c’è la garanzia dello Stato” (Il Fatto Quotidiano del 26/3/2020).
Se i soldi per pagare le prestazioni nei prossimi mesi ci saranno, rimane comunque il problema della sostenibilità del sistema pensionistico; in proposito occorre ricordare come la sostenibilità dipenda soprattutto da due fattori: a) un andamento positivo dell’occupazione (derivante dalla crescita economica) in grado di permettere un costante afflusso contributivo nelle casse dell’INPS; b) un rapporto equilibrato tra lavoratori attivi e pensionati, poiché le pensioni pagate dovrebbero sempre essere in equilibrio con i contributi incassati (con il criterio della ripartizione i contributi versati dagli attivi finanziano le pensioni).
Il bilancio preventivo dell’INPS è stato approvato il 30/12/2019 (cioè prima dell’attuale emergenza sanitaria) e delineava comunque alcune criticità che ora potrebbero aggravarsi: - gli effetti complessivi delle valutazioni previsionali per l’anno 2020 si traducono sul bilancio in un risultato di esercizio negativo pari a -6.384 €/milioni (+2.201 €/milioni rispetto al risultato negativo pari a -8.585 €/milioni previsto per l’anno 2019); mentre il risultato complessivo di competenza finanziaria prevede un disavanzo di -75 €/milioni nel 2020, ma per gli anni successivi è previsto un ulteriore peggioramento con un disavanzo di -3.493 €/milioni nel 2021 e di -6.311 €/milioni nel 2022.
Dunque, se già a cose normali il bilancio INPS 2020 si presenta in disavanzo e con una previsione di ulteriore peggioramento per gli anni 2021-22, è facile prevedere come le ricadute della recessione post-pandemia potranno aggravare ulteriormente gli squilibri finanziari del settore previdenziale italiano.
Infatti, le suindicate previsioni del bilancio 2020 sono state adottate facendo riferimento al DEF 2019 basate su un aumento del PIL in termini reali pari a +0,4%, mentre le attuali previsioni parlano di una netta riduzione del PIL dell’-8%.
In particolare, si teme un peggioramento del rapporto contribuenti/pensioni per l’eventuale aumento della disoccupazione; il preventivo 2020 prevedeva un rapporto complessivo di 126,76 contribuenti per 100 pensioni, mentre quello relativo al totale delle gestioni (escluse le assicurazioni facoltative) è previsto a un valore di 134,6 contribuenti per 100 pensioni (medesimo valore nel 2019 e 135,3 nel 2018).
Il peggioramento deriverebbe da: a) una riduzione del numero dei contribuenti, mentre nel preventivo 2020 è stato valutato, nel complesso delle gestioni, in 22.672.230 unità, in aumento (+76.845) rispetto alle 22.595.385 unità previste per il 2019 e alle 22.553.730 unità del 2018; b) nell’aumento del numero delle pensioni, le quali alla fine del 2020 dovrebbero essere 17.885.513, con un leggero incremento dovuto a 893.490 nuove pensioni e 834.308 pensioni eliminate (erano 17.826.331 nel 2019 e 17.725.486 nel 2018).
Un altro indicatore in peggioramento è il rapporto della spesa pensionistica rispetto al PIL; già nel preventivo 2020 si prevedeva un incremento: nel 2016 è stata del 15,27%, nel 2019 del 15,33% e le previsioni iniziali del 2020 lo attestavano al 15,30%, ma le conseguenze della recessione potrebbero portarlo molto più alto.
Conseguentemente, non sarà più possibile fare nuovi interventi “espansivi” sulla spesa previdenziale per non drenare altre risorse togliendo spazio a tutte le altre forme di spesa,
Infatti, le pesanti ricadute dell’epidemia sull’economia ha fatto rimandare la definizione di nuovi interventi normativi sulle pensioni per prevedere l’introduzione di nuove misure di flessibilità (“quota 100”, cioè la possibilità di andare in pensione a chi ha 62 anni di età e 38 anni di contributi versati scadrà il 31/12/2021), anzi c’è chi avanza l’ipotesi di ripristinare le norme più stringenti della legge Fornero; altri propongono nuovi contributi di solidarietà (oltre a quello per gli assegni superiori ai € 100.000 della durata di cinque anni) per i redditi sopra gli € 80.000 annui (proposta del PD); altri propongono nuove tasse (in particolare una patrimoniale).
Ma qualcosa potrebbe essere fatto, per esempio:
- i 60/65enni sono tra i più esposti al contagio del coronavirus e dovrebbero più di altri restare a casa; in una prospettiva di rientro al lavoro in maniera “contingentata” forse sarebbe meglio per le aziende lasciarli a casa in quanto “pensionandi” utilizzando forme opportune di solidarietà, favorendo l’accesso al lavoro dei giovani;
- c’è poi l’annoso problema delle pensioni minime che potrebbero ricevere specifici aiuti emergenziali, i cui percettori sono adesso ancora più esposti al rischio povertà.
In conclusione.
La recessione post-pandemia accentuerà i preesistenti problemi del sistema previdenziale italiano; questa nuova situazione dovrà essere analizzata con attenzione per trovare opportuni provvedimenti al fine di evitare ulteriori squilibri che a lungo andare potrebbero produrre guasti assai problematici.
È infatti necessario garantire la sostenibilità del sistema pensionistico, stabilizzando il rapporto della spesa pensionistica rispetto al PIL e, quindi, è indispensabile assicurare nel lungo periodo dei positivi tassi occupazionali.
Il sistema pensionistico italiano si trova di fronte a una duplice sfida: fornire un reddito adeguato durante la pensione e garantire allo stesso tempo la sostenibilità finanziaria del sistema previdenziale, ma questa sfida non può essere vinta con prospettive di crescita economica molto contenute (come avvenuto in questi ultimi anni), tanto meno con una recessione.
Dunque, occorre evitare il calo del numero dei lavoratori attivi (dovuti alla recessione), poiché questo determinerebbe inevitabili squilibri nel sistema pensionistico proprio nel momento in cui le persone che si avvicinano alla pensione (gli ex baby boom degli anni ’60) sono più numerosi.

Euro Mazzi


PS: questo post fa parte di un ampio studio sulle problematiche relative alla crisi economica e finanziaria che da anni interessa l’Italia nel contesto europeo.

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1 commento:

  1. Ma perché continuiamo a permettere che ci dominino fino alla mancanza vitale di aria, quando potremmo benissimo fare a meno degli aiuti europei. Abbiamo un debito pubblico imponente , ma e niente davanti alla mole di risparmio degli italiani
    Perche dobbiamo continuare a indebitarsi, ad alimentare la corda che ci strangolera

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