sabato 4 aprile 2020

CORONAVIRUS E LA PESANTEZZA DEL DEBITO PUBBLICO (prima parte)

La pandemia Covid 19 ormai non è più solo una emergenza sanitaria, ma l’inizio di una vera e propria crisi/recessione economica, poiché la necessità di far fronte all’emergenza avrà un costo elevato, a cui si aggiungeranno le spese per gli interventi necessari alla ripresa economica dopo il blocco di tutte le attività non strettamente necessarie (ad esempio: la filiera del turismo, i servizi di ristorazione, le attività ricreative, i diversi settori dell’industria, ecc.); le imprese avranno difficoltà a trovare liquidità e a reperire credito bancario; molti potrebbero rischiare di perdere il proprio lavoro e/o diminuire il proprio reddito; la ridotta capacità produttiva e la lentezza della ripresa incideranno negativamente anche sulle entrate fiscali, indebolendo ulteriormente le finanze pubbliche.
Tutti i Paesi sono/saranno più o meno coinvolti in questa crisi/recessione, ma quelli più fragili, come l’Italia per la vulnerabilità dei suoi conti pubblici, lo saranno ancora di più in particolare a causa dell’inevitabile aumento del deficit e del debito pubblico.
Fino ad oggi il governo italiano per affrontare l’emergenza sanitaria ha richiesto (e ottenuto) una maggiore flessibilità sui conti da parte dell’Unione Europea quale presupposto per varare i primi provvedimenti (“Cura Italia”) di 25+30 €/miliardi a sostegno dell’economia, assunti con aumento del debito pubblico; la Bce, a sua volta, ha reso disponibile una maggiore liquidità alle banche e varato un programma di acquisto di titoli denominato PEPP (Pandemic emergency purchase programme) di almeno 750 €/miliardi con durata a fine del 2020 per contrastare le negative ricadute della crisi/recessione sul futuro dell’eurozona.
Questi primi provvedimenti sembrano, però, non essere sufficienti, poiché già alcune analisi delineano per l’Italia un preoccupante scenario economico post-covid: - per Prometeia la crisi durerà alcuni anni con un calo nel 2020 del PIL del 6,5%, con un rapporto debito pubblico/PIL pari al 150% e un deficit/PIL previsto al 6,6% (La Repubblica del 27/3/20); - Cerved calcola per un blocco della produzione di 2 mesi una perdita per le aziende di circa 275 €/miliardi (Il Messaggero del 17/3/20); - per Ref nel primo semestre del 2020 il Pil potrebbe perdere l’8% (La Repubblica del 20/3/20); - per Morgan Stanley il 2020 si chiuderà con l’economia in contrazione del 5,8% e un rapporto debito pubblico/PIL al 147,7%, nonché una deflazione con un calo dello 0,4% dell’indice dei prezzi e una disoccupazione al 10,4% (Il Giornale del 18/3/20).
Secondo il docente C. Altomonte fino a dicembre (grazie proprio al programma di acquisti di titoli pubblici della Bce) non succederà niente di grave, ma per il 2021: “ci troveremo con rapporti debito/Pil in tutti i Paesi superiori del 20-30% rispetto ad ora, come in una guerra. Questo ci porrà il problema di come gestire questo debito, posto che in Europa ci sarà un accesso asimmetrico al mercato, dato che ci saranno Paesi che dal 60-65% del debito/Pil arriveranno all’85-90%, come la Germania, e altri, come l'Italia, che dal 120% arriveranno al 150-160% (…) Il sostanziale incremento del deficit del 2020 comporterà un aumento del disavanzo ciclico in Italia che si andrà a sommare ai 50 miliardi di euro destinati ad azioni di sostegno fiscale da “terapia d’urto” che da sole contribuiscono all’aumento del deficit di oltre il 2% del PIL” (Adncronos del 26/3/20).
La pandemia ha colpito in un momento assai delicato, poiché l’Italia nel 2019 presentava già uno scenario di scarsa crescita e di alto debito pubblico: - al 31/1/2020 il debito pubblico era risalito a quota 2.443 €/miliardi rispetto ai circa 2.409,2 €/miliardi del 31/12/2019 (in calo rispetto al massimo storico del luglio 2019 di 2.466 €/miliardi); - nell’ultimo trimestre 2019 la crescita del PIL è stata negativa -0,3% e la variazione del PIL per il 2019 era di circa +0,2%; - la produzione industriale a dicembre 2019 era del -2,7% rispetto al mese precedente e del -4,3% rispetto al 2018.
In sostanza il debito pubblico italiano ha avuto tassi di incremento ben superiori a quelli del PIL e conseguentemente il rapporto debito pubblico/PIL ha continuato a crescere: nel 2.000 era pari al 112,95%, nel 2018 era del 134,83% e a fine 2019 era salito al 136,20%; dunque, questo trend di crescita era già preoccupante anche prima della crisi attuale innescata dalla pandemia.
È sconcertante verificare come dal 2007 (inizio della prima crisi) fino al 2019 il debito pubblico italiano sia aumentato di circa 731,8 €/miliardi (+44,63%), mentre il PIL italiano solo di circa 214,7 €/miliardi (+13,82%); questo differente tasso di incremento ha costantemente aggravato il rapporto debito/PIL, nonostante il susseguirsi di manovre finanziarie (come quella “lacrime e sangue” del governo Monti) e, soprattutto, all’intervento della BCE (“quantitative easing”) che ha contenuto la crescita degli interessi e la riduzione dei tassi sui titoli del debito pubblico. 
Infatti, se non ci fosse stata la BCE, oggi l’Italia pagherebbe molti più interessi e il debito risulterebbe ancora più elevato e l’economia italiana ancora più depressa: nel 2.006 gli interessi ammontavano a 69,4 €/miliardi calcolati su un ammontare di 1.446,1 €/miliardi di titoli di stato; nel 2019 gli interessi ammontavano a 67,4 €/miliardi ma calcolati su un ammontare di 2.036,4 €/miliardi di titoli; dal 2006 al 2019 sono stati pagati ben 1.007,9 €/miliardi di interessi, una somma che fa comprendere come il problema del debito pubblico sia assai condizionante per lo sviluppo italiano.
Questi dati confermano anche come siano state inadeguate (se non sbagliate) la gran parte delle manovre finanziarie varate dai vari governi (senza distinzioni di alleanze partitiche) che hanno sempre (almeno nelle intenzioni) mirato a un’accelerazione della crescita del PIL, rifiutando le politiche di austerità fiscale, ma il risultato reale è stato ben diverso da quanto annunciato: il PIL è cresciuto poco, mentre il debito pubblico è cresciuto molto di più
Per esempio, l’ultima legge finanziaria 2020 a fronte di una manovra complessiva di 32,9 €/miliardi prevedeva solo 16,7 €/miliardi di nuove risorse/tasse, mentre i rimanenti 16,2 €/miliardi costituivano nuovo debito; cioè il nuovo governo giallo-rosso ha aumentato il debito pubblico, ha creato nuova spesa (seppur giustificata come “espansiva”) e mantenuto tutte le precedenti spese (80 euro, quota 100 e reddito di cittadinanza) ... è cambiata l’alleanza di governo, ma i provvedimenti sono sostanzialmente simili a quelli assunti dai precedenti “diversi” governi (… altro che alternativa!!!).
Con una classe politica che mira sostanzialmente al consenso e, quindi, “spara proposte velleitarie” (cioè senza alcuna reale copertura) c’è il grosso rischio che anche le manovre finanziarie post-covid tentino di approfittare della sospensione del “Patto di Stabilità” per fare “nuova spesa” e aumentare impunemente il debito pubblico, rivendicando una maggiore “solidarietà” europea, rinunciando ancora una volta alle riforme e alla revisione della spesa pubblica per evitare perdite di consenso.
Sotto questo profilo è pienamente comprensibile la riluttanza di molti Paesi Europei (Germania, Olanda, ecc.) che non vogliono offrire altri alibi all’Italia e pretendano l’applicazione delle condizionalità del MES piuttosto che l’emissione di eurobond.
Del resto, la perdita di fiducia verso il debito pubblico italiano è confermato dalla riduzione della quota di debito detenuta dagli investitori stranieri: nel 2010 questa quota era del 52%, mentre a fine 2019 raggiungeva il 31,4% (ci cui il 3% in mano alla BCE a seguito del “quantitative easing”).
In conclusione. La pandemia Covid 19 porterà una vera e propria crisi/recessione economica; in tal senso occorrerebbe sviluppare la consapevolezza dei rischi di solvibilità e di “default” che l’Italia correrebbe con un debito pubblico superiore al 150% del PIL; soprattutto bisognerebbe evitare di continuare a “governare velleitariamente”, cioè a non fare nulla per uscire da questa “vulnerabilità” derivante dalla pesantezza del debito pubblico italiano, sprecando l’ennesima occasione per “mettere a posto” i conti, nonché (con la massima urgenza) ricercare le idonee iniziative per una concreta ripresa della crescita, programmando riforme, semplificando la normativa, snellendo il funzionamento della burocrazia e verificando costantemente gli scostamenti dagli obiettivi.
Insomma, la pandemia sta evidenziando la fragilità e la vulnerabilità dell’Italia, derivante dal sostanziale peggioramento delle proprie precarie finanze pubbliche; ora emergono i limiti delle politiche economiche adottate in questi ultimi anni dai vari governi perché non è stata mai fatta una reale revisione della spesa pubblica e non è stato mai varato un serio programma di rientro dell’esposizione debitoria statale e ora … i nodi verranno al pettine”.

Euro Mazzi

PS: questo post fa parte di un ampio studio sulle problematiche relative alla crisi economica e finanziaria che da anni interessa l’Italia nel contesto europeo.
Post sulle conseguenze della pandemia:
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