La
nuova riforma della Costituzione oggetto del prossimo referendum per quanto
riguarda la figura del Presidente della
Repubblica (contenuta negli art. 83-96 della Costituzione), mantiene la
sua natura di “capo dello Stato e rappresenta
l’unità nazionale” e i suoi
compiti, modifica sostanzialmente solo
l’art. 83 nelle modalità della sua elezione:
a)
partecipano al
voto solo 630 deputati e i 100 senatori; scompaiono quindi i 59 delegati
regionali e 215 senatori (274 elettori in meno); rimangono inoltre i senatori di
diritto e a vita attuali.
b)
rimane
uguale il quorum delle prime tre
votazioni (maggioranza qualificata dei due terzi, ovvero il 66% del voti); sale
il quorum dal quarto al sesto
scrutinio, in quanto servirà una maggioranza di tre quinti (60% dei voti contro
l'attuale maggioranza assoluta del 50%); cambia
il quorum dal sesto scrutinio in poi,
poiché servirà la maggioranza di tre quinti dei votanti, invece della
maggioranza degli aventi diritto.
Altre
piccole modifiche riguardano la possibilità per il presidente della Repubblica
di sciogliere solo la Camera dei
Deputati, e non più anche il Senato; conseguentemente il Presidente della
Camera diventerà la seconda carica dello Stato e, in quanto tale, farà le veci
del Presidente della Repubblica se quest'ultimo è impedito.
Apparentemente
queste nuove regole sulle elezioni presidenziali sembrano finalizzate a preservare
una portata garantistica della procedura per l’elezione del Presidente della
Repubblica, poiché presuppongono un consenso superiore alla pura maggioranza
assoluta, obbligando il partito di maggioranza a ricercare una convergenza con
le altre forze politiche.
Si tratta, però,
solo di aspettare fino alla sesta votazione, in quanto dopo si passa al
quorum dei 3/5 dei votanti, numero solitamente inferiore a quello dei
partecipanti e variabile di seduta in seduta.
Per
esempio, nelle 4 sedute necessarie per eleggere Mattarella a Presidente sono
stati presenti 975 elettori nella prima seduta, poi 953 nella seconda, poi 969
nella terza e infine 995 nella quarta, con una media di assenze di 36 elettori
a seduta. In tal senso, non bisogna dimenticare che i 100 senatori sono anche
Consiglieri regionali e Sindaci e, dunque, hanno anche altri “obblighi”
istituzionali (doppio incarico) da assolvere ed è facile la loro assenza in alcune delle sedute.
Mattarella
è stato eletto con 665 voti (il 66,8% dei votanti); Pertini nel 1978 ottenne
l’83,6% (il più votato); Leone (il meno votato) nel 1971 ottenne il 52%; la
percentuale media dei voti necessari a eleggere un presidente della Repubblica
nel corso delle tredici elezioni avvenute fino ad ora è stata del 61%. Gli
scrutini che sono stati necessari per eleggere Mattarella alla presidenza sono
stati 4, lo stesso numero che fu necessario a Luigi Einaudi, Giovanni Gronchi e
per il primo mandato di Giorgio Napolitano. Il numero massimo di scrutini è
stato quello necessario a eleggere Giovanni Leone (23), seguito dall’elezione
di Giuseppe Saragat (21 scrutini). Francesco Cossiga e Carlo Azeglio Ciampi
furono eletti con un solo scrutinio. Nella storia repubblicana sono stati
necessari in media 10 scrutini per eleggere un presidente della Repubblica.
Il
problema non deriva direttamente dalle variazioni dell’art. 83, semmai dalla interazione di queste variazioni con il
combinato disposto delle norme della legge elettorale (il c.d. Italicum), che assicura al partito
vincitore la maggioranza dei seggi (55% pari a 340 deputati) della Camera; unite alle norme riformate della
composizione del Senato (95 senatori eletti dai Consigli Regionali più 5
dal Presidente della Repubblica) che potrebbe
permettere alla maggioranza di governo di scegliere autonomamente il nuovo
Presidente.
Infatti,
sulla base di simulazioni operate sulla situazione attuale è stato calcolato
che il PD riuscirebbe ad aggiudicarsi 340 seggi alla Camera, mentre al Senato
avrebbe direttamente 55 senatori, oltre a 5 seggi di partiti autonomisti
alleati e 5 senatori di nomina presidenziale, per un totale di 405 elettori
(pari al 55,48%), in grado con l’aggiunta di alcuni voti (o di un numero
adeguato di elettori assenti) di
eleggere direttamente un Presidente di proprio gradimento; invece, tutte le
opposizioni (anche se fossero tutte unite) non potrebbero mai (salvo una forte divisione
interna al PD) eleggere o condizionare pesantemente l’elezione del Presidente
della Repubblica.
Al
contrario, se il PD non vincesse le
elezioni della Camera avrebbe comunque un numero importante di deputati a
cui potrebbe aggiungere una sua forte presenza nel Senato; in questo caso, non
riuscirebbe a votare direttamente un presidente, ma potrebbe comunque condizionarne l’elezione, costringendo la lista vincente
delle elezioni della Camera a trovare un accordo con altri partiti o gruppi.
Il combinato
disposto della legge Italicum con le
nuove norme sul Senato garantisce al PD di essere al centro della scena
politica futura, di condizionare l’elezione del Presidente della Repubblica se
non proprio di poterlo eleggere direttamente.
La
possibilità di eleggere un Presidente della Repubblica da parte della sola
maggioranza parlamentare, riconducibile comunque ad una lista che ha (al primo
turno) solo preso più voti rispetto alle altre liste concorrenti, costituisce
un indubbio rafforzamento del potere
della dirigenza di questo partito nelle istituzioni, rischiando altresì di
far perdere al Presidente della Repubblica quella natura di contrappeso (o di arbitro o di garante) rispetto al Governo e
alla sua stessa maggioranza Parlamentare.
In tal senso,
non pare essere un correttivo idoneo il significativo ruolo del Senato nei
procedimenti elettivi riconducibili al genus
delle garanzie costituzionali (elezione
del Capo dello Stato, di alcuni giudici della Corte costituzionale, dei
componenti laici del Consiglio superiore della magistratura), in quanto vi è il
fondato rischio che la sua nuova
composizione strutturale e numerica non sia sufficientemente idonea a
consentirne un funzionamento secondo logiche di rappresentanza territoriale diverse da quelle proprie della
Camera dei deputati. Semmai con molta probabilità il nuovo Senato riprodurrà le stesse logiche partitiche che non
dovrebbero consentire di attenuare significativamente lo scarto numerico tra
maggioranza e opposizione della Camera, dato anche il notevole divario numerico
tra deputati e senatori.
In
conclusione, anche dall’esame delle nuove norme sulla elezione del Presidente
della Repubblica, inserite nel contesto della legge elettorale Italicum e della nuova configurazione
del Parlamento, sembrano indebolire la
tessitura garantistica dell’impianto istituzionale; qualificando anche
sotto questo aspetto la riforma come una
controriforma, la quale rischia di far
peggiorare il funzionamento generale del sistema istituzionale, deteriorando
ancor di più la qualità democratica del nostro ordinamento.
Euro
Mazzi
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