venerdì 3 giugno 2016

(CONTRO)RIFORMA COSTITUZIONALE: UN PRESIDENTE ARBITRO O UNO DEI GIOCATORI? (quinta parte)

La nuova riforma della Costituzione oggetto del prossimo referendum per quanto riguarda  la figura del Presidente della Repubblica (contenuta negli art. 83-96 della Costituzione), mantiene la sua  natura di “capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionalee i suoi compiti, modifica sostanzialmente solo  l’art. 83 nelle modalità della sua elezione:
a)                  partecipano al voto solo 630 deputati e i 100 senatori; scompaiono quindi i 59 delegati regionali e 215 senatori (274 elettori in meno); rimangono inoltre i senatori di diritto e a vita attuali.


b)                 rimane uguale il quorum delle prime tre votazioni (maggioranza qualificata dei due terzi, ovvero il 66% del voti); sale il quorum dal quarto al sesto scrutinio, in quanto servirà una maggioranza di tre quinti (60% dei voti contro l'attuale maggioranza assoluta del 50%); cambia il quorum dal sesto scrutinio in poi, poiché servirà la maggioranza di tre quinti dei votanti, invece della maggioranza degli aventi diritto.
Altre piccole modifiche riguardano la possibilità per il presidente della Repubblica di sciogliere solo la Camera dei Deputati, e non più anche il Senato; conseguentemente il Presidente della Camera diventerà la seconda carica dello Stato e, in quanto tale, farà le veci del Presidente della Repubblica se quest'ultimo è impedito.
Apparentemente queste nuove regole sulle elezioni presidenziali sembrano finalizzate a preservare una portata garantistica della procedura per l’elezione del Presidente della Repubblica, poiché presuppongono un consenso superiore alla pura maggioranza assoluta, obbligando il partito di maggioranza a ricercare una convergenza con le altre forze politiche.
Si tratta, però, solo di aspettare fino alla sesta votazione, in quanto dopo si passa al quorum dei 3/5 dei votanti, numero solitamente inferiore a quello dei partecipanti e variabile di seduta in seduta.
Per esempio, nelle 4 sedute necessarie per eleggere Mattarella a Presidente sono stati presenti 975 elettori nella prima seduta, poi 953 nella seconda, poi 969 nella terza e infine 995 nella quarta, con una media di assenze di 36 elettori a seduta. In tal senso, non bisogna dimenticare che i 100 senatori sono anche Consiglieri regionali e Sindaci e, dunque, hanno anche altri “obblighi” istituzionali (doppio incarico) da assolvere ed è facile la loro assenza in alcune delle sedute.
Mattarella è stato eletto con 665 voti (il 66,8% dei votanti); Pertini nel 1978 ottenne l’83,6% (il più votato); Leone (il meno votato) nel 1971 ottenne il 52%; la percentuale media dei voti necessari a eleggere un presidente della Repubblica nel corso delle tredici elezioni avvenute fino ad ora è stata del 61%. Gli scrutini che sono stati necessari per eleggere Mattarella alla presidenza sono stati 4, lo stesso numero che fu necessario a Luigi Einaudi, Giovanni Gronchi e per il primo mandato di Giorgio Napolitano. Il numero massimo di scrutini è stato quello necessario a eleggere Giovanni Leone (23), seguito dall’elezione di Giuseppe Saragat (21 scrutini). Francesco Cossiga e Carlo Azeglio Ciampi furono eletti con un solo scrutinio. Nella storia repubblicana sono stati necessari in media 10 scrutini per eleggere un presidente della Repubblica.
Il problema non deriva direttamente dalle variazioni dell’art. 83, semmai dalla interazione di queste variazioni con il combinato disposto delle norme della legge elettorale (il c.d. Italicum), che assicura al partito vincitore la maggioranza dei seggi (55% pari a 340 deputati) della Camera; unite alle norme riformate della composizione del Senato (95 senatori eletti dai Consigli Regionali più 5 dal Presidente della Repubblica) che potrebbe permettere alla maggioranza di governo di scegliere autonomamente il nuovo Presidente.
Infatti, sulla base di simulazioni operate sulla situazione attuale è stato calcolato che il PD riuscirebbe ad aggiudicarsi 340 seggi alla Camera, mentre al Senato avrebbe direttamente 55 senatori, oltre a 5 seggi di partiti autonomisti alleati e 5 senatori di nomina presidenziale, per un totale di 405 elettori (pari al 55,48%), in grado con l’aggiunta di alcuni voti (o di un numero adeguato di elettori assenti) di eleggere direttamente un Presidente di proprio gradimento; invece, tutte le opposizioni (anche se fossero tutte unite) non potrebbero mai (salvo una forte divisione interna al PD) eleggere o condizionare pesantemente l’elezione del Presidente della Repubblica.
Al contrario, se il PD non vincesse le elezioni della Camera avrebbe comunque un numero importante di deputati a cui potrebbe aggiungere una sua forte presenza nel Senato; in questo caso, non riuscirebbe a votare direttamente un presidente, ma potrebbe comunque condizionarne l’elezione, costringendo la lista vincente delle elezioni della Camera a trovare un accordo con altri partiti o gruppi.
Il combinato disposto della legge Italicum con le nuove norme sul Senato garantisce al PD di essere al centro della scena politica futura, di condizionare l’elezione del Presidente della Repubblica se non proprio di poterlo eleggere direttamente.
La possibilità di eleggere un Presidente della Repubblica da parte della sola maggioranza parlamentare, riconducibile comunque ad una lista che ha (al primo turno) solo preso più voti rispetto alle altre liste concorrenti, costituisce un indubbio rafforzamento del potere della dirigenza di questo partito nelle istituzioni, rischiando altresì di far perdere al Presidente della Repubblica quella natura di contrappeso (o di arbitro o di garante) rispetto al Governo e alla sua stessa maggioranza Parlamentare.
In tal senso, non pare essere un correttivo idoneo il significativo ruolo del Senato nei procedimenti elettivi riconducibili al genus delle garanzie costituzionali (elezione del Capo dello Stato, di alcuni giudici della Corte costituzionale, dei componenti laici del Consiglio superiore della magistratura), in quanto vi è il fondato rischio che la sua nuova composizione strutturale e numerica non sia sufficientemente idonea a consentirne un funzionamento secondo logiche di rappresentanza  territoriale diverse da quelle proprie della Camera dei deputati. Semmai con molta probabilità il nuovo Senato riprodurrà le stesse logiche partitiche che non dovrebbero consentire di attenuare significativamente lo scarto numerico tra maggioranza e opposizione della Camera, dato anche il notevole divario numerico tra deputati e senatori.
In conclusione, anche dall’esame delle nuove norme sulla elezione del Presidente della Repubblica, inserite nel contesto della legge elettorale Italicum e della nuova configurazione del Parlamento, sembrano indebolire la tessitura garantistica dell’impianto istituzionale; qualificando anche sotto questo aspetto la riforma come una controriforma, la quale rischia di far peggiorare il funzionamento generale del sistema istituzionale, deteriorando ancor di più la qualità democratica del nostro ordinamento.

Euro Mazzi

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