venerdì 10 giugno 2016

(CONTRO)RIFORMA COSTITUZIONALE: LA FAVOLA DELLE PROVINCE, ELIMINATE COME NOME e RINATE COME ENTI DI AREA VASTA … (settima parte)

La riforma costituzionale Renzi/Boschi ha cancellato dal nuovo testo ogni riferimento alle “Province”, portando a compimento un impegno preso in precedenza da vari governi e ritenuto un passaggio essenziale per favorirne la soppressione. Se però si approfondisce l’articolazione del testo di riforma allora si scopre che non si può parlare di eliminazione, semmai di trasformazione della Provincia (quale ente costituzionalmente necessario dotato di funzioni proprie) in ente di secondo grado genericamente denominati “enti di area vasta”, previsti da una disposizione finale della riforma stessa (art. 40, comma 4), che rimanda l’attribuzione dei suoi profili ordinamentali generali alla legge statale e le ulteriori disposizioni alla legge regionale.


Dunque, la stessa riforma costituzionale prevede non l’abolizione delle Province, ma la loro trasformazione in “ente di area vasta”, del resto già così denominate dalla legge 7/4/2014, n. 56 (c.d. legge Delrio) che aveva già delineato tale coincidenza al comma 3 dell’art. 1: “Le province sono enti territoriali di area vasta” e trasformato il presidente ed i consigli provinciali in organi elettivi di secondo grado, con diritto di elettorato attivo e passivo riconosciuto ai sindaci e ai consiglieri dei comuni della provincia. Insomma. le Province (uno dei simboli della “rottamazione costituzionale” o “degli enti inutili” dell’ex sindaco di Firenze) in realtà non sono di fatto eliminati … “una bella presa in giro”!!!
La propaganda dei favorevoli alla riforma costituzionale Renzi/Boschi insiste molto sull’abolizione delle Province (ritenute enti inutili e costosi) e sui conseguenti risparmi: “Cosa succede se vince il Sì? Addio province, per sempre”… ma è  una favola!!! Il termine abolizione o soppressione è sbagliato, poiché si dovrebbe parlare di “trasformazione” che non comporta né l’estinzione delle Province né la creazione di un ente nuovo, ma semplicemente la loro trasformazione in organi di secondo livello, in quanto non direttamente eletti dalla popolazione (come per il Senato).
La riforma costituzionale non sopprime le Province, ma le toglie dal testo costituzionale (“decostituzionalizza”) per rimuovere innanzitutto gli ostacoli e le incertezze giuridiche collegate al loro depotenziamento per via di precedenti riforme legislative (appunto la legge Delrio) che riducono la legittimazione democratica degli organi, le funzioni dell’ente e la sua autonomia in relazione agli altri enti che invece continuano a costituire la Repubblica (Comuni e Regioni); soprattutto il legislatore vuole avere le mani libere per ulteriori interventi sulle Province nella direzione della intercomunalità.
Infatti, nella propaganda dei favorevoli alla riforma Renzi/Boschi si insiste su queste caratteristiche: “E’ questa la nuova Area Vasta: il luogo in cui i Sindaci di un territorio, superando ogni limite di appartenenza politica, lavorano insieme per il bene del territorio. Per questo l’elezione di secondo livello diventa l’occasione per ampliare la responsabilità di tutti al servizio delle comunità e non certo un limite al processo democratico”. Si tratta di puro fumo negli occhi!!!
In realtà non si hanno né idee e né progetti per dare razionali funzioni a queste forme di aggregazione e di coordinamento fra comuni per l’esercizio di funzioni di governo di cosiddetta «area vasta». Si procede con frasi fatte, costantemente ripetute e ricopiate, che nascondono un vuoto assai preoccupante di progetti, esattamente come già avvenuto per le unioni e fusioni di Comuni. Si crede semplicisticamente che sia sufficiente aggregare gli enti per poter automaticamente produrre economie di scala con grandi risparmi e mantenimento del medesimo livello dei servizi, ma si dimentica che al contrario occorre: a) fare precise e puntuali analisi sulla situazione di partenza; b) avere chiaro il punto di arrivo in termini organizzativi, finanziari, normativi, ecc.; c) occorre delineare il percorso necessario al fine di passare dal punto di partenza al punto di arrivo. Cioè occorre un progetto (o un piano industriale) … e questo al momento manca.
Infatti, se la riforma costituzionale venisse confermata dal referendum, allora il Governo dovrà legiferare e spiegare come saranno strutturati questi “enti di area vasta” che prenderanno il posto delle Provincie, precisando le loro funzioni (solo amministrative o anche poteri strategici e di indirizzo politico), stabilendo le procedure di nomina, ecc.; poi toccherà alle Regioni delimitarne i confini e i comuni che vi faranno parte.
In questo deserto progettuale non si mette mano alla Costituzione se non si hanno le idee chiare, se non si sa dove andare; un esempio: il titolo V della Costituzione (quello che riguarda Regioni e Comuni) nel 2001 è stato oggetto di modifiche in senso quasi federalista dello Stato; ora al contrario si torna indietro riaccentrando sullo Stato la maggior parte delle competenze (specie con l’introduzione della c.d. “clausola di supremazia”). Queste oscillazioni sono prodotte dal medesimo partito (il PD) che di volta in volta persegue obiettivi “esterni” al merito costituzionale: nel 2001 doveva contenere il consenso della Lega (devolution), ora deve rispondere alle esigenze di tagli imposti dall’Unione Europea; ma queste oscillazioni oltre a produrre confusione, non permettono neanche di conseguire gli auspicati risparmi, anzi minacciano di ulteriormente peggiorare la situazione finanziaria.
Del resto, le Province dal 1974 al 2009 sono aumentate passando da 94 a 110; mentre la recente vicenda delle Province (anni 2010-2016) assomiglia a una storia paradossale; periodicamente, qualcuno ne ha proposto l’abolizione, ritenendole «enti inutili» che costano e contano poco, titolari di non meglio identificati poteri e competenze, presenza superflua fra il Comune e l’assai più rilevante Regione.
Dopo il fallito tentativo di riordino territoriale del governo Monti (con i decreti legge SalvaItalia n. 201/2011 e Spending review n. 95/2012) e di quello del Governo Letta, dopo l’entrata in vigore della legge n. 56/2014 (cd. “legge Delrio”), ora con l’eventuale riforma costituzionale, le Province si trovano ancor più degli altri enti in una vera e propria “terra di nessuno” in attesa di completare la loro trasformazione (da un tipo di ente ad un altro) senza sapere in quale direzione effettivamente dovranno andare.
Di sicuro, al momento: a) sembrano essere state superate le proposte politiche radicali di soppressione delle Province (in quanto sparisce il nome dalla Costituzione, ma si trasforma l’ente in “area vasta”); b) l’ambiguità e le incertezze della legislazione testimoniano della mancanza di una riforma amministrativa organica e coerente che si riflette anche nel testo della riforma costituzionale Renzi/Boschi (rafforzamento dei poteri del Governo, riaccentramento statalistico di molte funzioni regionali, limitazione delle autonomie locali, riduzione delle rappresentatività degli enti Senato e Province quali enti di secondo grado non più eletti dal popolo).
In questo contesto (che si può giustamente considerare di contro-riforma), per le Province perdura il periodo di incertezza per l’esercizio di funzioni fondamentali per i cittadini (dalla manutenzione delle strade e delle scuole superiori, alla gestione dei rifiuti, alla tutela idrogeologica e ambientale, ai problemi per il trasferimento del personale, ai finanziamenti, all’amministrazione dei beni immobili) e, inoltre, molte province già dal 2013 sono già o rischiano il dissesto finanziario (per esempio sulla situazione della Provincia di La Spezia vedere qui: http://castelnuovopertutti.blogspot.it/2015/08/il-quasi-dissesto-della-provincia.html ).
E sul piano dei risparmi? Gli effetti della legge Delrio n. 56/2014, seppur espressamente qualificata come transitoria (nelle more della riforma costituzionale del Titolo V e delle relative norme di attuazione) hanno portato alcuni limitati risparmi, in quanto i nuovi organi della Provincia (presidente, consiglio e assemblea dei sindaci) sono tutti incarichi a titolo gratuito. A tale riguardo, è stato calcolato che il costo di 1.774 amministratori provinciali nel 2011 è stato di 111 milioni di euro, mentre la spesa presunta per nuove elezioni provinciali era stata stimata in 318,7 milioni di euro, di cui circa 118,4 milioni a carico dello Stato. Questi sono attualmente tutti i risparmi conseguiti dalla legge 56/2014 (e non dalla riforma costituzionale), poiché la Corte dei Conti in un suo studio datato 30/4/2015 (“Il riordino delle Province”) ha evidenziato le molte problematiche ora presenti dopo l’entrata in vigore della legge 56/2014.
La Corte ha evidenziato come ci siano ritardi e difficoltà nella fase attuativa, in particolare per quanto riguarda il riordino delle funzioni delegate o trasferite alle Province”; come non ci sia corrispondenza tra funzioni e loro copertura finanziaria “nessuna prospettiva di riallocazione delle funzioni provinciali può essere attuata senza una attenta e congiunta analisi e valutazione tra Stato e Regioni dei costi delle funzioni da riordinare e del relativo personale”; l’aumento di criticità finanziarie per “un graduale, e pressoché diffuso, deterioramento della finanza provinciale”.
Dunque, la Corte dei Conti più che dei possibili risparmi (al momento non quantificabili eccetto quelli sopra evidenziati) è assai preoccupata dagli squilibri che si stanno manifestando a seguito della riforma degli “enti di area vasta” a causa delle “rilevate anomalie, finora registrate nello sviluppo delle fasi attuative della legge di riordino, con la sostenibilità finanziaria del contributo richiesto al comparto”.
Se il vero obiettivo di queste riforme fosse quello di semplificare la PA (riordinando le funzioni amministrative ed eliminando le sovrapposizioni tra enti) e di conseguire risparmi, mantenendo alti livelli nell’erogazione dei servizi … allora … siamo lontani, ma molto lontani … e proprio la lontananza tra obiettivi e previsioni normative caratterizza questi interventi come una vera controriforma.

Euro Mazzi

Nessun commento:

Posta un commento