venerdì 24 giugno 2016

(CONTRO)RIFORMA COSTITUZIONALE: SUI RISPARMI I CONTI NON TORNANO … TRA APPROSSIMAZIONI E DEMAGOGIA (parte ottava)


I fautori della riforma costituzionale Renzi/Boschi sottolineano l’importanza dei risparmi che si otterranno dalla sua entrata in vigore. La Boschi ha dichiarato in più occasioni che si tratterebbe di circa 500 milioni di risparmi: 80 milioni l’anno dalla riduzione dei senatori; altri 70 milioni da risparmi sulle Commissioni, rimborsi ai gruppi e riduzione dei funzionari del Senato; 320 milioni l’anno dal superamento delle Province; 20 milioni dalla soppressione del Cnel.
In altre occasioni altri esponenti hanno avanzato stime di risparmi più consistenti. Il sottosegretario Delrio ha dichiarato che i risparmi dalla sola abolizione delle Province saranno dell'ordine di 850 milioni l'anno. Renzi twittava il 19/1/2014 su risparmi di circa 1 miliardo: “Via i senatori, un miliardo di tagli alla politica, a dieta le Regioni, legge elettorale anti larghe intese. Se si chiude, Italia #cambiaverso”. Il calcolo renziano era questo: se sommiamo gli 850 milioni di risparmi per l'abolizione delle Province, i 50 del Senato, i 20 del Cnel e i 44 provenienti dalle Regioni (24 per la riduzione delle indennità e i 20 per l'abolizione dei finanziamenti ai gruppi), arriviamo a 964 milioni l'anno. Altri esponenti hanno parlato chi di 2 e chi di 4 miliardi di risparmi. Insomma una gara a chi la spara più grossa, poiché mancano al momento analisi precise e studi seri … ma alcune ricerche ci sono … e smentiscono le “favole” sui risparmi.


Per esempio, la Ragioneria dello Stato ha elaborato delle stime (trasmesse al Parlamento il 28/10/2014 su richiesta della stessa Boschi), evidenziando che i risparmi certi per la finanza pubblica derivanti dal ddl Boschi, ammontano solo a 57,7 milioni di euro (cioè le spese del Senato diminuiranno solo del 9% rispetto ad un costo di 540 milioni per il 2016): per effetto della riduzione del numero dei componenti del Senato (da 315 a 95, esclusi i 5 nominati dal Presidente della Repubblica), unitamente alla limitazione dell’indennità parlamentare (10.385 euro mensili pro capite) ai soli componenti della Camera dei deputati: “la minore spesa conseguente a dette disposizioni è stimabile in circa 49 milioni di euro”, di cui 40 milioni ottenuti dall’abolizione dell’indennità per i futuri senatori e i rimanenti 9 dalla cessazione della corresponsione della diaria mensile (3.500 euro mensili pro capite). Quanto alle Province, la nota della Ragioneria segnala, però, che i risparmi di spesa che deriverebbero dalla loro soppressione non sono allo stato quantificabili”, quantificazione che potrà essere effettuata “solo a completa attuazione” della legge di riordino delle città metropolitane, Province, unioni e fusioni di comuni. La soppressione del Cnel, invece, produrrebbe secondo la Ragioneria “risparmi ulteriori pari a 8,7 milioni di euro, rispetto a quelli già previsti ed indicati nella relazione tecnica del disegno di legge di stabilità 2015 pari a euro 10.019.227 annui”.
Insomma, ci saranno dei risparmi ma non saranno così evidenti e consistenti come sbandierato sia da Boschi che da Renzi. Secondo la Boschi oltre ai risparmi diretti esistono anche quelli derivanti da una crescita dello 0,6% annuo del PIL (che in 10 anni sarebbero circa 9.6 miliardi) “grazie alle nostre riforme”;  ma non si capisce su cosa si fondino queste stime né da chi siano state fatte, poiché la ministra si è limitata a sostenere che “è quanto crescerà in più il Pil del Paese grazie alla stabilità e ai tempi certi di approvazione delle leggi e alla chiarezza su cosa fa lo Stato e cosa fanno le Regioni, limitando il contenzioso davanti alla Corte costituzionale e dando certezze alle imprese”.
Quello che sappiamo per certo è che i risparmi diretti sono molto … ma molto meno, e che le proiezioni sul Pil, soprattutto così lontane nel tempo, lasciano invece molto spazio alla creatività e … alla credibilità.
Il senatore Lucio Malan ha calcolato che: a) grazie a un comma apposito gli attuali senatori a vita non vengono toccati nei loro emolumenti e nelle loro dotazioni; b) la sostituzione dei 315 senatori elettivi con i 100 di nomina regionale “comporterebbe un risparmio netto di circa 26 milioni al netto dell’Irpef che oggi pagano sui loro emolumenti, e altri 20 milioni verrebbero dalla riduzione dei rimborsi al netto delle imposte minime che gravano sulle spese che li originano. Dagli 80 milioni vantati dal ministro a 46 (…) Totalmente fasullo il risparmio di 70 milioni sui rimborsi ai gruppi e alle commissioni, poiché queste voci pesano oggi per 26 milioni sul bilancio del Senato. Si può ottimisticamente pensare a un risparmio del 50% dell’attuale spesa, cioè 13 milioni. Altrettanto fasullo il risparmio di 320 milioni sul personale politico delle provincie, visto che dal 2014 presidenti e consiglieri provinciali non prendono alcuna indennità aggiuntiva a quella della carica comunale che obbligatoriamente rivestono. Insomma, anziché 490 milioni, non più di 59 milioni di risparmio.
La Corte dei Conti con una delibera, datata 30/4/2015 non ha evidenziato i presunti risparmi, al contrario ha denunciato la grave incertezza in cui versano le Province dopo l’approvazione del ddl Delrio che rischia di generare scompensi nella loro situazione finanziaria, dal momento che queste si ritrovano a gestire le medesime funzioni del passato, ma con i fondi a disposizione ridotti. Dunque, la preoccupazione riguarda i rischi di destabilizzazione finanziaria del sistema delle Province, non i fantomatici 850 milioni di risparmi annunciati da Delrio, che comunque non deriverebbero dalla riforma costituzionale, semmai dall’insieme dei provvedimenti sulle Province assunti a partire dal 2011.
Alcuni esponenti del centro-destra hanno evidenziato la contraddizione esistente in Renzi e nel PD dato che si opposero alla precedente riforma del 2005 (bocciata poi dal referendum del 2006), la quale conseguiva anch’essa effettivi risparmi: i deputati passavano da 630 a 518 e i senatori da 315 a 252, con un taglio netto di 175 parlamentari, mentre quella attuale elimina 215 senatori; la differenza fra le due proposte è di appena 40 parlamentari; e poiché il Senato rimane in vita, facendo bene i conti, i risparmi conseguiti dalla riforma del 2016 rispetto a quella del 2005 assommano alla risibile cifra di 14 milioni che non giustificano né l’esaltazione ai risparmi della riforma del 2016, né la opposizione del PD rispetto alla riforma di Berlusconi; oltretutto con  la riforma di Berlusconi i senatori, venivano eletti e scelti dai cittadini, mentre con la riforma Renzi saranno cooptati dai consiglieri regionali in carica … insomma, perché originare un caos istituzionale in cambio di solo 14 milioni?”.
Alcuni analisti hanno fatto notare che si sarebbero ottenuti risparmi superiori e strutturali (cioè durevoli nel tempo) da interventi meramente organizzativi su Camera e Senato che non avrebbero implicato alcun intervento sulla Costituzione, ma semplici provvedimenti di legge.
Per esempio: a) una decisa unificazione delle amministrazioni del Senato e della Camera; b) interventi riduttivi sulle pensioni dei dipendenti: nel 2013 il Senato ha pagato per la previdenza dei propri dipendenti a riposo circa 115 milioni (più del 20% di tutte le sue risorse); la Camera ha pagato 236 milioni (pari al 25% su 950 milioni di spese); ma le spese per le pensioni di Camera e Senato aumenteranno ancora nei prossimi anni; c) interventi riduttivi sulle pensioni (ex vitalizi) dei senatori e dei deputati. Il presidente dell'Inps, Tito Boeri, in una audizione alla Camera nel maggio 2016 ha evidenziato che risultano in pagamento 2.600 assegni i quali costano 193 milioni di euro nel 2016, costo superiore di 150 milioni rispetto ai contributi versati: “Applicando le regole del sistema contributivo oggi in vigore per tutti gli altri lavoratori all'intera carriera contributiva dei parlamentari, la spesa per vitalizi si ridurrebbe del 40%, scendendo a 118 milioni, con un risparmio, dunque, di circa 76 milioni di euro l'anno (760 milioni nei prossimi 10 anni)”.
E’ stato fatto notare che il taglio dei costi è nel titolo della legge stessa di riforma costituzionale (peraltro in modo molto demagogico), ma se questi risparmi vengono subito utilizzati per “nuovi” costi della politica allora quale beneficio se ne ricava?
Per esempio, i costi derivanti dall’uso dell’airbus A6-EHA di Etihad Airways (un aereo di dieci anni, con alle spalle migliaia di ore di volo opportunamente modificato) destinato a diventare il nuovo aereo di Stato che, pare, verrà preso in leasing “forse” per una cifra di 10-15 milioni di euro l’anno, a cui devono essere aggiunte le spese di volo (ipotizzabile un impegno orario di circa 1000 ore l’anno per un costo di funzionamento totale di circa 20 milioni). In pratica, questo aereo di Stato “brucerebbe” con un costo di 25-35 milioni quasi il 70% dei risparmi di un anno derivanti dalla Riforma Costituzionale del Senato.
Esponenti di rifondazione hanno ricordato che la partecipazione dell’Italia al programma Joint Strike Fighter F-35 prevede un budget complessivo di circa 10 miliardi di euro per l’acquisto di 90 aerei (di cui 38 da acquisire entro il 2020) ... Anche solo un F35 in meno consentirebbe un risparmio maggiore rispetto a quello conseguito dalla riforma del Senato.
Nel  «Documento dei 56 costituzionalisti » per il “NO” alla riforma della Costituzione si legge che «il buon funzionamento delle istituzioni non è prima di tutto un problema di costi legati al numero di persone investite di cariche pubbliche... bensì di equilibrio fra organi diversi, e di potenziamento, non di indebolimento, delle rappresentanze elettive».
Altri esponenti del fronte del “NO” hanno evidenziato che è demagogico puntare solo sui risparmi per giustificare interventi così massicci sulla Costituzione, in quanto La politica e la rappresentanza democratica del popolo sovrano non può essere a costo zero”.
Senza dover scendere a compromessi sul piano della rappresentanza politica e, quindi, senza dover rinunciare ad una fetta di democrazia si potrebbero facilmente ed immediatamente raggiungere obiettivi di contenimento dei costi del Parlamento anche solo adottando comportamenti “virtuosi” come: la riduzione del 50% delle competenze, la rendicontazione pubblica delle spese, la rinuncia ai contributi elettorali, la rinuncia all’assegno di fine mandato, la restituzione delle indennità corrisposte e non utilizzate, ecc. ecc. Basterebbero queste semplici innovazioni per garantire un risparmio per lo Stato di circa 500 milioni di euro … reali e non fantasiosi.

Euro Mazzi

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