La
riforma costituzionale che verrà sottoposta a Referendum non è esplicitamente
preordinata a modificare la forma di governo parlamentare vigente, ma si
prefigge obiettivi di sostanziale rafforzamento
del potere esecutivo e della stabilità di governo, grazie soprattutto a due
elementi: a) la fiducia monocamerale e b) una corsia preferenziale.
Esaminiamole con attenzione.
a)
La titolarità
del rapporto fiduciario col Governo è attribuita alla sola Camera (fiducia
monocamerale, cioè con la piena esclusione del Senato), con deputati eletti da una legge elettorale maggioritaria (Italicum)
che assicura una maggioranza del 55%.
La Camera esercita, collettivamente
col Senato, la funzione di revisione costituzionale e la funzione legislativa
in un numero limitato di importanti materie ed esercita in esclusiva la
funzione legislativa nelle restanti materie, con intervento eventuale del Senato,
talvolta non paritario rafforzato, talaltra non paritario con esame
obbligatorio (per le leggi di bilancio e rendiconto consuntivo). I 630 deputati
eleggono, quasi da soli, nel Parlamento in seduta comune con i 100 senatori,
sia il Presidente della Repubblica, sia un terzo dei componenti del CSM, che
alcuni giudici costituzionali.
b)
La corsia
preferenziale
per gran parte delle leggi proposte dall’esecutivo, se indicate come essenziali
per l’attuazione del programma di governo, con termini brevi e perentori per le decisioni parlamentari (art. 72 nuova
Costituzione). Questa norma è finalizzata a consentire al Governo di fruire di
tempi prevedibili per la realizzazione del suo programma legislativo: in
pratica il Governo opera come «comitato
direttivo» della maggioranza parlamentare.
L’attivazione
della corsia preferenziale non potrebbe essere richiesta per tutti i
procedimenti legislativi (sono escluse per esempio le leggi bicamerali e quelle
elettorali, ecc.), ma solo per quei disegni di legge indicati genericamente «come essenziale per l’attuazione del
programma di governo». L’attivazione di questa “corsia” avviene su
richiesta del Governo e con deliberazione della Camera, con possibilità di
minacciare informalmente le dimissioni in caso di mancata concessione della
corsia preferenziale.
Gli effetti
procedimentali dell’attivazione della «corsia preferenziale» sarebbero i
seguenti: 1. termine di 70 giorni dalla
richiesta (c.d. “voto a data certa”),
entro i quali il progetto di legge dovrebbe essere sottoposto alla votazione
finale della Camera dei deputati; 2. la votazione avviene solo sul testo proposto o accolto (a seguito di emendamenti) dal Governo;
3. una doppia votazione (articolo
per articolo e votazione finale) da parte della Camera (voto bloccato con
esclusione degli emendamenti non accettati dal Governo); 4. la riduzione alla metà dei termini previsti
per l’attivazione del potere di richiamo da parte del Senato e per la
presentazione di proposte di modifica da parte di quest’ultimo; 5. non viene intaccato
l’uso pervasivo e combinato della
questione di fiducia, dei maxi-emendamenti e dei decreti legge.
Altre
norme previste nella riforma contribuiscono ad accentuare questo rafforzamento
dell’esecutivo rispetto al Parlamento, quali per esempio:
a)
La
competenza legislativa per le leggi elettorali
per la Camera è monocamerale;
b)
Il
Senato è composto da senatori eletti in
secondo grado dai Consigli Regionali; ha competenza sulle materie
costituzionali, rischiando così di rendere insufficienti le garanzie previste dall’articolo
138 in caso di modifiche costituzionali; nomina due giudici costituzionali con
il rischio di aumentare una sua compromissione con il potere politico.
c)
La
ri-modifica delle norme del titolo V (modificate nel 2001) che prevedono un forte ridimensionamento delle autonomie
regionali ordinarie con una deriva neocentralista, peraltro non estesa alle
regioni speciali;
d)
Il
rischio di indebolimento dei contrappesi
e dei meccanismi di garanzia a seguito delle nuove norme sulla nomina del Presidente
della Repubblica e dei giudici della Corte Costituzionale;
e)
Il
“contenimento”
dello strumento referendario abrogativo
e del diritto d’iniziativa popolare
per proporre leggi e per riformare la Costituzione.
La legge
elettorale (Italicum) per la Camera è
improntata ad una ratio nettamente
maggioritaria, con il riconoscimento di
un consistente premio in seggi alla forza politica vincente (40% nel primo
turno o nell’eventuale ballottaggio). Se è vero che nessuna legge elettorale è
perfetta, è deprecabile una legge che permette di trasformare una minoranza in una maggioranza forte del
55% (attraverso l’ingegneria del doppio turno che permette di arrivare al
50,1%), aggirando in questa maniera la dichiarazione d’incostituzionalità
individuata dalla Corte Costituzionale (nel giudizio sulla legge n. 270 del
2005 c.d. Porcellum) nella «eccessiva
divaricazione tra la compressione dell’organo di rappresentanza politica
(…) e la volontà dei cittadini espressa attraverso il voto». Al premio di
maggioranza si aggiungono altri “vizi” come la previsione delle liste bloccate e delle candidature multiple che trasformano gli eletti in nominati.
Il
vero obiettivo del combinato “legge
costituzionale – legge elettorale” diventa quello di un «rafforzamento della collocazione del
Presidente del Consiglio nel circuito istituzionale». Nel caso attuale,
Renzi (grazie al cumulo, nella stessa persona, delle cariche di Presidente del
Consiglio dei ministri e di Segretario nazionale del partito di maggioranza)
diviene un vero “Premier” in grado di
influire sulle organizzazioni periferiche di partito e, quindi, sui
consigli regionali e, transitivamente, sulla nomina dei senatori e quindi sulle
decisioni del Senato, potendo così controllare sia la Camera che il Senato.
Occorre,
inoltre, considerare che all’Italicum
si aggiungono le leggi elettorali delle Regioni
dove prevale un modello elettorale, di emanazione statale, che prevede un
premio di maggioranza assoluta per le liste che hanno sostenuto il presidente
eletto e un voto di preferenza facoltativo per i singoli candidati; in alcune
regioni vige un sistema, di emanazione regionale, diverso, in particolare in
Toscana dove si usano liste bloccate.
Con questo
sistema vengono eletti i Consigli Regionali i quali poi dovrebbero eleggere i
Senatori. Con
il voto di lista e l’elezione indiretta, la riforma crea un doppio filtro partitico e favorisce
quello che pretende di evitare: la
riproduzione nel Senato della divisione partitica nazionale, ostacolando
un’autentica rappresentazione dei bisogni territoriali. Le elezioni
regionali sono organizzate dai partiti che hanno un unico (sic!) contropotere
locale nella “persona” dei Presidenti
delle Regioni, eletti direttamente, insieme alla loro équipe, con una procedura individuale, competitiva, a maggioranza
relativa. Un sistema similare vige per l’elezione dei sindaci, con preferenze facoltative
per la scelta dei consiglieri nei comuni più grandi.
È
questo il modello elettorale del “Sindaco
d’Italia”, con scelte individuali tendenzialmente
ridotte all’indicazione del capo dell’esecutivo, che gli autori della riforma
vorrebbero estendere al livello nazionale, concentrando il voto sulla figura del
candidato alla Presidenza del Consiglio (finora solo “indicato” dagli elettori), determinando la maggioranza in base alla
scelta di lista che appoggia il candidato Premier e sacrificando la libera
scelta dei parlamentari a presunti requisiti di rappresentazione dei partiti
più grandi e di stabilità del Governo.
Dunque,
il disegno appare del tutto chiaro, con lo spostamento
dell’asse dell’indirizzo politico dal Parlamento al Governo, dando vita ad una
sorta di premierato forte ed a una semplificazione e verticalizzazione del
sistema politico.
La
forma di governo parlamentare, che formalmente resta vigente, viene
sostanzialmente trasformata con una impostazione
volta a stabilizzare e rafforzare il potere dell’esecutivo, ridimensionando
fortemente il ruolo politico del Parlamento, ben aldilà di un necessario riequilibrio
tra Parlamento e Governo.
Se
non si può certo qualificare questa scelta come un rischio autoritario, da
taluni paventato, dato che resta determinante la volontà del corpo elettorale
nella legittimazione politica del governo, non si può certamente non valutarla
con estrema preoccupazione.
Si
supera l’impostazione costituzionale e parlamentare fondata sul ruolo
necessario dei partiti politici, come sedi in cui si concorrere alla
elaborazione e determinazione della politica nazionale, e si incentiva sempre di più la tendenza alla personalizzazione del potere
(figura del capo leader), sulla
scia anche di un ruolo forte dei media nel dibattito politico incentrato più sui
leader
che sulle compagini politiche collettive.
In
prospettiva esiste il rischio di una attenuazione del ruolo della Costituzione come garanzia dei diritti
degli individui, poiché la garanzia dei diritti politici è la condizione
per far rispettare nel tempo tutti gli altri diritti … ma con questa
(contro)riforma chi garantirà i diritti politici?
Euro
Mazzi
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