lunedì 30 maggio 2016

(CONTRO)RIFORMA COSTITUZIONALE: RAFFORZAMENTO DELL’ESECUTIVO E PREMIERATO FORTE (quarta parte)

La riforma costituzionale che verrà sottoposta a Referendum non è esplicitamente preordinata a modificare la forma di governo parlamentare vigente, ma si prefigge obiettivi di sostanziale rafforzamento del potere esecutivo e della stabilità di governo, grazie soprattutto a due elementi: a) la fiducia monocamerale e b) una corsia preferenziale. Esaminiamole con attenzione.
a)                  La titolarità del rapporto fiduciario col Governo è attribuita alla sola Camera (fiducia monocamerale, cioè con la piena esclusione del Senato), con deputati eletti da una legge elettorale maggioritaria (Italicum) che assicura una maggioranza del 55%.

 La Camera esercita, collettivamente col Senato, la funzione di revisione costituzionale e la funzione legislativa in un numero limitato di importanti materie ed esercita in esclusiva la funzione legislativa nelle restanti materie, con intervento eventuale del Senato, talvolta non paritario rafforzato, talaltra non paritario con esame obbligatorio (per le leggi di bilancio e rendiconto consuntivo). I 630 deputati eleggono, quasi da soli, nel Parlamento in seduta comune con i 100 senatori, sia il Presidente della Repubblica, sia un terzo dei componenti del CSM, che alcuni giudici costituzionali.
b)                 La corsia preferenziale per gran parte delle leggi proposte dall’esecutivo, se indicate come essenziali per l’attuazione del programma di governo, con termini brevi e perentori per le decisioni parlamentari (art. 72 nuova Costituzione). Questa norma è finalizzata a consentire al Governo di fruire di tempi prevedibili per la realizzazione del suo programma legislativo: in pratica il Governo opera come «comitato direttivo» della maggioranza parlamentare.
L’attivazione della corsia preferenziale non potrebbe essere richiesta per tutti i procedimenti legislativi (sono escluse per esempio le leggi bicamerali e quelle elettorali, ecc.), ma solo per quei disegni di legge indicati genericamente «come essenziale per l’attuazione del programma di governo». L’attivazione di questa “corsia”  avviene su richiesta del Governo e con deliberazione della Camera, con possibilità di minacciare informalmente le dimissioni in caso di mancata concessione della corsia preferenziale.
Gli effetti procedimentali dell’attivazione della «corsia preferenziale» sarebbero i seguenti: 1. termine di 70 giorni dalla richiesta (c.d. “voto a data certa”), entro i quali il progetto di legge dovrebbe essere sottoposto alla votazione finale della Camera dei deputati; 2. la votazione avviene solo sul testo proposto o accolto (a seguito di emendamenti) dal Governo; 3. una doppia votazione (articolo per articolo e votazione finale) da parte della Camera (voto bloccato con esclusione degli emendamenti non accettati dal Governo); 4. la riduzione alla metà dei termini previsti per l’attivazione del potere di richiamo da parte del Senato e per la presentazione di proposte di modifica da parte di quest’ultimo; 5. non viene intaccato l’uso pervasivo e combinato della questione di fiducia, dei maxi-emendamenti e dei decreti legge.
Altre norme previste nella riforma contribuiscono ad accentuare questo rafforzamento dell’esecutivo rispetto al Parlamento, quali per esempio:
a)                  La competenza legislativa per le leggi elettorali per la Camera è monocamerale;
b)                 Il Senato è composto da senatori eletti in secondo grado dai Consigli Regionali; ha competenza sulle materie costituzionali, rischiando così di rendere insufficienti le garanzie previste dall’articolo 138 in caso di modifiche costituzionali; nomina due giudici costituzionali con il rischio di aumentare una sua compromissione con il potere politico.
c)                  La ri-modifica delle norme del titolo V (modificate nel 2001) che prevedono un forte ridimensionamento delle autonomie regionali ordinarie con una deriva neocentralista, peraltro non estesa alle regioni speciali;
d)                 Il rischio di indebolimento dei contrappesi e dei meccanismi di garanzia a seguito delle nuove norme sulla nomina del Presidente della Repubblica e dei giudici della Corte Costituzionale;
e)                  Il “contenimento” dello strumento referendario abrogativo e del diritto d’iniziativa popolare per proporre leggi e per riformare la Costituzione.
La legge elettorale (Italicum) per la Camera è improntata ad una ratio nettamente maggioritaria, con il riconoscimento di un consistente premio in seggi alla forza politica vincente (40% nel primo turno o nell’eventuale ballottaggio). Se è vero che nessuna legge elettorale è perfetta, è deprecabile una legge che permette di trasformare una minoranza in una maggioranza forte del 55% (attraverso l’ingegneria del doppio turno che permette di arrivare al 50,1%), aggirando in questa maniera la dichiarazione d’incostituzionalità individuata dalla Corte Costituzionale (nel giudizio sulla legge n. 270 del 2005 c.d. Porcellum) nella «eccessiva divaricazione tra la compressione dell’organo di rappresentanza politica (…) e la volontà dei cittadini espressa attraverso il voto». Al premio di maggioranza si aggiungono altri “vizi” come la previsione delle liste bloccate e delle candidature multiple che trasformano gli eletti in nominati.
Il vero obiettivo del combinato “legge costituzionale – legge elettorale” diventa quello di un «rafforzamento della collocazione del Presidente del Consiglio nel circuito istituzionale». Nel caso attuale, Renzi (grazie al cumulo, nella stessa persona, delle cariche di Presidente del Consiglio dei ministri e di Segretario nazionale del partito di maggioranza) diviene un vero “Premier” in grado di influire sulle organizzazioni periferiche di partito e, quindi, sui consigli regionali e, transitivamente, sulla nomina dei senatori e quindi sulle decisioni del Senato, potendo così controllare sia la Camera che il Senato.
Occorre, inoltre, considerare che all’Italicum si aggiungono le leggi elettorali delle Regioni dove prevale un modello elettorale, di emanazione statale, che prevede un premio di maggioranza assoluta per le liste che hanno sostenuto il presidente eletto e un voto di preferenza facoltativo per i singoli candidati; in alcune regioni vige un sistema, di emanazione regionale, diverso, in particolare in Toscana dove si usano liste bloccate.
Con questo sistema vengono eletti i Consigli Regionali i quali poi dovrebbero eleggere i Senatori. Con il voto di lista e l’elezione indiretta, la riforma crea un doppio filtro partitico e favorisce quello che pretende di evitare: la riproduzione nel Senato della divisione partitica nazionale, ostacolando un’autentica rappresentazione dei bisogni territoriali. Le elezioni regionali sono organizzate dai partiti che hanno un unico (sic!) contropotere locale nella “persona” dei Presidenti delle Regioni, eletti direttamente, insieme alla loro équipe, con una procedura individuale, competitiva, a maggioranza relativa. Un sistema similare vige per l’elezione dei sindaci, con preferenze facoltative per la scelta dei consiglieri nei comuni più grandi.
È questo il modello elettorale del “Sindaco d’Italia”, con scelte individuali tendenzialmente ridotte all’indicazione del capo dell’esecutivo, che gli autori della riforma vorrebbero estendere al livello nazionale, concentrando il voto sulla figura del candidato alla Presidenza del Consiglio (finora solo “indicato” dagli elettori), determinando la maggioranza in base alla scelta di lista che appoggia il candidato Premier e sacrificando la libera scelta dei parlamentari a presunti requisiti di rappresentazione dei partiti più grandi e di stabilità del Governo.
Dunque, il disegno appare del tutto chiaro, con lo spostamento dell’asse dell’indirizzo politico dal Parlamento al Governo, dando vita ad una sorta di premierato forte ed a una semplificazione e verticalizzazione del sistema politico.
La forma di governo parlamentare, che formalmente resta vigente, viene sostanzialmente trasformata con una impostazione volta a stabilizzare e rafforzare il potere dell’esecutivo, ridimensionando fortemente il ruolo politico del Parlamento, ben aldilà di un necessario riequilibrio tra Parlamento e Governo.
Se non si può certo qualificare questa scelta come un rischio autoritario, da taluni paventato, dato che resta determinante la volontà del corpo elettorale nella legittimazione politica del governo, non si può certamente non valutarla con estrema preoccupazione.
Si supera l’impostazione costituzionale e parlamentare fondata sul ruolo necessario dei partiti politici, come sedi in cui si concorrere alla elaborazione e determinazione della politica nazionale, e si incentiva sempre di più la tendenza alla personalizzazione del potere (figura del capo leader), sulla scia anche di un ruolo forte dei media nel dibattito politico incentrato più sui leader che sulle compagini politiche collettive.
In prospettiva esiste il rischio di una attenuazione del ruolo della Costituzione come garanzia dei diritti degli individui, poiché la garanzia dei diritti politici è la condizione per far rispettare nel tempo tutti gli altri diritti … ma con questa (contro)riforma chi garantirà i diritti politici?
Euro Mazzi

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