Nel
precedente post abbiamo esaminato le incongruenze della riforma del nuovo Senato,
mettendo in risalto come l’abolizione
della elezione diretta sia in contrasto con il permanere di una articolata funzione
legislativa del Senato stesso; il problema vero sono le competenze rapportate al tipo di elezione e in tal senso è
esagerata anche la previsione dell’immunità.
Ora
approfondiamo altri aspetti: la composizione e le modalità di designazione dei
senatori.
Il
futuro Senato sarà composto da
consiglieri regionali e da sindaci designati dai rispettivi organi
regionali: * 74 saranno consiglieri regionali eletti dai Consigli regionali di
appartenenza; * 21 saranno sindaci eletti dai Consigli regionali, nella misura
di uno per ciascuno, fra tutti i sindaci dei comuni della Regione.
I
nuovi senatori saranno designati
secondo modalità stabilite da una futura legge e che in ogni caso non
consentirà l’elezione diretta da parte dei cittadini. Unica vaga concessione è
aver previsto che i consiglieri regionali dovranno essere nominati “in conformità alle scelte espresse dagli
elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo dei medesimi
organi”. Per la nomina dei sindaci nulla è previsto.
Con
questo tipo di composizione è del tutto
impensabile considerare i Senatori una “garanzia” o un “contrappeso”, poiché la loro elezione sarà il frutto di accordi
tra i vari gruppi consiliari e tra le varie segreterie dei partiti, quindi
sostanzialmente sarà una nomina più
che una elezione.
Secondo
alcune proiezioni elaborate sulla base della composizione politica degli
attuali consigli regionali, tenuto conto del numero di senatori che spettano a
ciascuna regione: il nuovo senato sarà un
monocolore del Pd, con una maggioranza solida, autonoma, schiacciante con 55-65
senatori; al centrodestra (che oggi guida Liguria, Lombardia e Veneto)
spetteranno circa 29 seggi (di cui alla Lega 14); ai Cinque Stelle forse 6
seggi. Questa simulazione tiene conto solo dell’attuale composizione dei
consigli regionali, ma molto dipenderà
da come si comporteranno i vari partiti e da quali trattative riusciranno a intavolare
che potrebbero dar luogo ad alleanze diverse e spurie. Dipenderà tutto dalla trattativa e dagli accordi che,
inevitabilmente, si incroceranno con quelli in altre regioni e la spartizione sarà una conseguenza
degli accordi tra i partiti e i gruppi consiliari regionali.
Naturalmente
in un prossimo futuro tutto potrebbe cambiare, ma una valutazione va fatta
tenendo conto degli scenari possibili e al momento si ha netta l’impressione
che questa riforma non sia “neutra”, ma apertamente
schierata a favore di uno dei “competitori”. Del resto, attualmente il
Senato presenta una maggioranza assai risicata, eliminando in futuro i rischi e
le incognite derivanti da senatori eletti direttamente dal popolo, sostituendoli con i consiglieri “designati”
dalle regioni (attualmente in larghissima parte guidate dal Pd), un governo
futuro avrebbe a disposizione un Senato più debole in merito alle competenze,
ma assai più forte in relazione alla sua composizione … appunto quasi un monocolore in grado di condizionare
la redazione delle future leggi costituzionali, nonché di influire sulla nomina
del Presidente della Repubblica, dei giudici della Corte Costituzionale, ecc..
Non
va dimenticata l’altra faccia della medaglia: la riforma della legge elettorale
(l’Italicum) che prevede un premio
di maggioranza alla lista capace di ottenere il 40% dei voti al primo turno o
il maggior numero di voti al secondo turno. E’ un meccanismo che sembra essere fatto apposta per avvantaggiare il
PD, unico partito presente in tutte le regioni, ben posizionato a sinistra
ma anche al centro, in grado anche di potersi presentare come seconda scelta.
La legge elettorale Italicum potrebbe consegnare anche la Camera al PD e …
dunque … con queste riforme il Pd di
Renzi diventerebbe un partito “pigliatutto”, mentre a tutti gli altri
rimarrebbe una specie di “diritto di tribuna”.
Non
si tratta (… almeno per il momento …) di una sorta di nuovo autoritarismo,
semmai di un processo spinto di “stabilizzazione o di governabilità”
come è già avvenuto per l’elezione diretta dei Sindaci: i diritti delle
minoranze rimangono tutelate … il diritto di iniziativa e di “protesta” per le
minoranze permane … ma appunto governa
solo chi vince le elezioni ed è facile che a vincerle sia il partito che le
ha vinte in precedenza … E non bisogna dimenticare che Renzi è stato sia
Sindaco che presidente della Provincia di Firenze … e questo è il suo
modello!!!
La
legge elettorale Italicum che entra in vigore nel 2016 è una via traversa per
giungere di fatto all’elezione diretta
del premier. Quando si arriva al
ballottaggio (per il quale non c’è quorum,
e dunque le due liste più votate partecipano a prescindere dal seguito
elettorale che hanno ricevuto), l’elettorato deve necessariamente schierarsi a
favore di uno dei due contendenti e chi
vince si prende tutto. È una forma d’investitura popolare per chi guida il
governo: le elezioni come strumento non solo per eleggere i Deputati, ma per scegliere e investire un governo e il suo
Capo … e questo avviene senza la previsione dei necessari contrappesi
indispensabili in una democrazia costituzionale.
Il
risultato é che il partito che vincerà
le elezioni potrà da solo: legiferare; formare il Governo; eleggere il
presidente della Camera, modificare il regolamento della Camera, creare
commissioni d'inchiesta, dichiarare la guerra e perfino scrivere e modificare
lo Statuto delle Opposizioni; avrà anche una buona probabilità di piazzare
propri candidati alla Presidenza della Repubblica, al C.S.M. e alla Corte
Costituzionale.
Insomma,
il problema non è cambiare, ma come
cambiare!
Se
si voleva superare il bicameralismo, allora il Senato andava abolito del tutto e tutto si doveva concentrare su
una sola Camera. Se si voleva semplificare l’iter legislativo allora bisognava
affidare al Senato solo compiti di raccordo tra Stato ed Enti territoriali, senza
competenza legislativa. Se si voleva fare risparmi sui costi della politica
bastava intanto già l’abolizione del Senato, compreso tutte le spese per il
personale, auto blu, segreterie, costi di manutenzione, interventi di
riqualificazione, ecc. … allora si sarebbe veramente fatto notevoli risparmi.
Invece
si è fatta confusione e in futuro sarà un
caos. Se si voleva riavvicinare le istituzioni ai cittadini allora
bisognava aumentare il numero dei
deputati, rendendo più piccoli i collegi, cioè più a misura di un rapporto
diretto e un controllo diretto fra eletti ed elettori. In tal caso, i risparmi
ci sarebbero potuti essere, per esempio eliminando i Senatori ed aumentando di
un numero inferiore i deputati si avrebbe un risparmio, a cui si sarebbe potuto
aggiungere la diminuzione del loro compenso
e la previsione di contributi pensionistici equiparati ai “comuni” cittadini!
Questo
sarebbe un vero risparmio!!!
Questi
sono altri motivi per cui si ritiene che l’attuale
proposta di riforma costituzionale sia sbagliata e, pertanto, che vada respinta
con un voto contrario perché non risolve nessun problema ed anzi altri ne
crea. Si fa opposizione a una riforma sbagliata, non alla necessità di
riformare la Costituzione, poiché conta
cosa si vuol riformare e come si riforma
… cioè non l’andare in sé è importante, semmai è decisivo saper dove andare.
Infine,
è importante evitare che il referendum
costituzionale diventi una sorta di plebiscito a favore o contro il Capo
del Governo Renzi, poiché qui è in ballo la sorte della Costituzione, non la Sua
sorte o il Suo prestigio o il Suo potere personale.
Euro
Mazzi
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