Il
crollo di 250 metri del ponte Morandi
(il viadotto autostradale che collega la A7 con la A10, avvenuto in data
14/8/2018, provocando 43 morti e 566 sfollati, oltre a innumerevoli disagi alla
viabilità genovese e autostradale) ha inevitabilmente catalizzato l’attenzione
della politica oltre ad un immediato e intenso interesse mediatico sulla
gestione delle autostrade italiani, specie liguri.
Il
primo ministro G. Conte sollevava immediatamente la problematica della revoca delle concessioni
autostradali “a prescindere
dall’inchiesta (perché) al di là
delle verifiche penali, di quello che farà la magistratura con la sua
inchiesta, noi non possiamo aspettare i tempi della giustizia”; a sua volta
il vicepremier Luigi Di Maio precisava: “Per
la prima volta c’è un governo che non ha preso soldi da Benetton, e siamo qui a
dirvi che revochiamo
i contratti e ci saranno multe per 150
milioni di euro” (La Stampa del 16/8/2018).
Partiva così una vicenda molto complicata e articolata in merito sia alla revoca delle
concessioni, nonché alla
necessità di evitare contenziosi
legali e costosi risarcimenti, che alla demolizione e
ricostruzione del ponte Morandi; la
polemica, poi, si ampliava alla questione della concessione dell’intera rete di 3.020 km. di autostrade, interessando
sia il rapporto concessorio tra lo
Stato e i gestori, sia i pedaggi e
la giustificazione dei loro aumenti, sia gli investimenti per nuove opere e gli interventi di manutenzione sulle
opere già costruite, che la sicurezza di
gallerie e dei viadotti.
Lo
spettro della revoca
della concessione gestita dalla società Autostrade per l'Italia Spa (Aspi)
riemergeva periodicamente in questi mesi, provocando contraccolpi in Borsa in senso di aumento o di riduzione del valore
del titolo Atlantia (quale diretta capogruppo di Aspi).
In
occasione del “varo” del nuovo
governo Conte 2, da una parte, veniva assicurato che: “Questo Governo porterà a completamento il procedimento avviato a
seguito del crollo del ponte Morandi
senza nessuno sconto per gli interessi privati”, ma veniva evocata,
dall’altra, anche la questione della revisione delle concessioni: “Renderemo più efficiente e più razionale il sistema delle concessioni dei beni e servizi
pubblici, operando una progressiva ma inesorabile revisione di tutto il sistema”,
mentre la neo-ministra dei trasporti P. De Micheli era più esplicita
nell’escludere l’ipotesi della revoca: “Nel
programma di governo c’è scritta una parola precisa e molto diversa: revisione”
(Affaritaliani del 9/9/2019).
A
fine novembre 2019 il premier Conte rassicurava in merito alla revoca della
concessione di Aspi di
essere “in dirittura d’arrivo, il
procedimento amministrativo è in corso, non faremo sconti. Il nostro obiettivo
è tutelare l’interesse pubblico di
tutti i cittadini” (Dire del 27/11/2019).
Mentre
venivano introdotte nel decreto Milleproroghe
2019 nuove norme per rendere più
uniformi le concessioni (in
particolare l’articolo 33 prevede in caso di revoca della concessione il subentro
dell’Anas e un drastico taglio agli indennizzi, nel caso di Aspi veniva ipotizzato una riduzione
dell’indennizzo da circa 23,5 €/miliardi
a 7 €/miliardi), all’interno della
maggioranza emergevano posizioni differenziate sulla revoca: “Per Conte, non è il caso di mettere in atto imboscate a scopo di vendetta contro la società dei
Benetton. Per il capo del M5S invece le concessioni
vanno revocate
e rimesse a gara a tutti i costi. Per la titolare del dicastero (P. De
Micheli …) ogni decisione in merito va
rimandata a gennaio (…) “la revoca è una procedura separata, sulla quale
stiamo ancora acquisendo dati. Una volta che avremo terminato l’analisi, tutto
il governo approfondirà il se, il come e il quando. A gennaio saremo in
grado di prendere una decisione ma fino a quando non avremo esaminato
tutti gli aspetti non mi sbilancio”” (Formiche del 24/12/2019).
A
gennaio 2020 accanto all’ipotesi della revoca si iniziava a parlare esplicitamente di trattativa;
da una parte, il premier Conte sottolineava che sulla revoca una decisione sarà presa a
breve, poiché i risultati delle indagini sulle cause del crollo del ponte Morandi evidenziavano “che qualcuno ha sbagliato e commesso negligenze
gravi e imperdonabili”; emergevano, però, indiscrezioni su una trattativa
con la società Atlantia: “si parla di
risarcimenti in denaro (2 miliardi di
euro) e accollo dei costi di
monitoraggio della rete (che verrebbero però eseguiti da strutture dello
Stato), mentre la società avrebbe rifiutato un taglio del 5% dei pedaggi per gli anni avvenire. La trattativa
è partita per evitare la revoca e il conseguente pagamento da parte dello
Stato di una penale da 6-8 miliardi di euro (comunque molto meno dei 23 che sarebbero dovuti senza le norme
introdotte con il decreto “mille proroghe”). Di contro Autostrade rischierebbe
il fallimento, in quanto ha debiti
per 10,5 miliardi di euro che
difficilmente potrebbero essere onorati” (Financial
Trend Analysis del 7/1/2020).
Piano
piano emergevano le difficoltà e i rischi connessi alla procedura di revoca;
in tal senso il presidente Conte era chiaro: “Procedere con la revoca significa mettere a rischio i conti
pubblici, meglio spingere sulla revisione dei contratti in essere costringendo la
società concessionaria a maggiori
investimenti e a praticare sconti
ai caselli” (Il paragone del 31/1/2020);
con la revoca non
c’è solo il rischio di danno erariale
per il governo (già prospettato anche da un parere dell’Avvocatura dello Stato),
c’è la sopravvivenza stessa di Aspi
con il rischio di un fallimento con
un “buco di 19 miliardi”, a rischio
anche un prestito obbligazionario retail
di 750 €/milioni detenuto da circa 17.000 piccoli risparmiatori italiani, nonché
il destino di 7.000 lavoratori (Il Sole 24 ore del 13/7/2020).
Qualche
mese dopo, però, Conte ribadiva che: “Per
quanto mi riguarda nulla è cambiato, la procedura di revoca o caducazione è in corso, ci sono tutte le carte per portarla avanti.
Sono conclamati e molteplici, documentalmente provati gli inadempimenti del concessionario”, mentre le proposte di transazione presentate
da Atlantia finora non sono state
considerate sufficienti, ovvero “compatibili con l’interesse generale della
collettività”” (Money.it del 3/6/2020).
Dunque,
revoca
e trattativa
andavano avanti insieme; la società Atlantia doveva insomma accettare le
condizioni del Governo per evitare la revoca della sua concessione autostradale: “Il governo ha definito la sua posizione e le
sue condizioni, adesso Autostrade ci
deve far sapere se le accetta o no,
altrimenti c’è la procedura di revoca” (Reuters del 7/7/2020).
Nel frattempo arrivava la sentenza della
Corte Costituzionale che definiva legittima l’esclusione della società Aspi dalla demolizione del ponte Morandi e dalla ricostruzione del
nuovo viadotto, precludendo così la sua possibilità di richiedere un risarcimento in sede civile per i
presunti danni subiti e confermando il suo obbligo a pagare il nuovo ponte
sulla base di un progetto ben più costoso di quello presentato dalla stessa al
commissario Bucci; la sentenza richiamava il principio di precauzione (principio di derivazione europea), poiché
non essendo sicuri dei danni eventualmente causati da Aspi e delle sue eventuali responsabilità, la Corte riteneva “ragionevole che il legislatore solo in via emergenziale l’abbia esclusa dalla
ricostruzione” (Genova24.it del 9/7/2020).
Nel
frattempo, esplodeva il problema delle code
sulle autostrade liguri dovute anche ai tanti cantieri presenti nelle varie
tratte per controllare gallerie e viadotti, creando disagi e danni economici
notevoli e sollevando diffuse lamentele e proteste.
Intanto,
emergeva la questione della futura gestione
del nuovo Ponte di Genova; la ministra De Micheli (contraria alla revoca)
definiva il percorso operativo necessario per inaugurare il ponte nei tempi
previsti (entro 8/8/2020); tenuto conto del non avvenuto perfezionamento della
procedura di revoca
delle concessioni alla società Aspi,
conseguentemente, era inevitabile la consegna “pro-tempore” (affido tecnico) dell’infrastruttura all’attuale concessionario,
anche al fine di prevenire potenziali contenziosi legali; mentre Crimi e Di
Maio precisavano che “da mesi insistiamo
con i ministri competenti, che sono il Mit e il Mef (a guida Pd, ndr), per fare
in modo che il ponte non sia riconsegnato ai Benetton. Questo per noi è un
punto dirimente”; in questo contesto, la trattativa continuava seppur condizionata
dai contrasti sui pedaggi e sull’assetto azionario, con l’ipotesi di far
entrare CDP e il fondo F2i in sostituzione della società Atlantia (Il Messaggero del 9/7/2020).
La
polemica sulla riconsegna del nuovo
ponte ai Benetton e i ritardi accumulati nella procedura di revoca sollevavano
aspre polemiche; polemiche condivise anche da parte dei familiari delle vittime;
in proposito Conte precisava: “Mi auguro
di chiudere il dossier “revoca” nel volgere del fine settimana. Fino a
quando il concessionario sarà Autostrade il ponte non può che essere
automaticamente affidato ad Autostrade. Ecco perché bisogna chiudere” (Il manifesto del 9/7/2020).
Conte,
in un’intervista al Fatto Quotidiano
definiva “imbarazzante” la proposta presentate da Aspi: “E sabato è arrivata
una risposta ampiamente insoddisfacente, per non dire imbarazzante: tutto meno che un’accettazione piena e incondizionata delle richieste del governo”.
Ancora rispetto all’ipotesi di un ingresso di CDP nell’azionariato di Aspi (dopo una riduzione della quota in
mano alla famiglia Benetton) il premier precisava: “Sarebbe davvero paradossale se lo Stato entrasse in società con i
Benetton, per le gravi responsabilità accumulate dal management scelto e
sostenuto dai Benetton nel corso degli anni fino al crollo del Morandi” (Genova24.it del 13/7/2020).
Si
arrivava così all’accordo notturno del 15/7/2020; l’accordo veniva commentato
da Conte in un suo post su Facebook; il
post iniziava con una frase retorica (“Le
infrastrutture pubbliche sono un bene
pubblico prezioso, che deve essere gestito in modo responsabile, garantendo
la piena sicurezza dei cittadini e un servizio efficiente”) e terminava con
una frase autocelebrativa (“una pagina inedita della nostra storia (…) Ha vinto lo Stato. Hanno vinto i cittadini. Avremo tariffe più eque e trasparenti, più
efficienza, più controlli, più sicurezza. Ha vinto, infine, il rispetto della memoria delle 43 vittime del crollo del
Ponte Morandi”), oltre a una frase di circostanza (“Non spetta al Governo accertare le
responsabilità penali per il crollo del Ponte Morandi. Questo è compito della
magistratura e confidiamo che presto si completino questi accertamenti in modo
da rendere giustizia a tutte le
vittime di questa tragedia”).
Conte
delineava il compito del Governo: “contestare le gravi violazioni contrattuali e la cattiva
gestione di cui si è resa responsabile Aspi
e impedire che i privati possano continuare ad avvantaggiarsi di una concessione totalmente squilibrata a loro
favore sia dal punto di vista giuridico sia dal punto di vista economico”. Si tratta di una affermazione avente natura propagandistica, poiché sono gli
apparati amministrativi presenti nel MIT, nel MEF e in Anas che dovrebbero “contestare le gravi violazioni contrattuali” al concessionario, mentre al Governo spettano compiti di indirizzo politico.
Nel
merito dell’accordo (definito un “negoziato
durissimo”) Conte ne valutava positivamente i termini:
“l’estromissione
della famiglia Benetton” i quali cederanno “la loro partecipazione in Aspi”,
facendo entrare CDP per trasformare Aspi
in una “public company” che “avrà un socio pubblico di riferimento e sarà
aperta a nuovi investitori istituzionali”. In realtà, dietro all’enfasi
sulla “estromissione dei Benetton” c’è solo una comune operazione borsistica:
CDP utilizzerà 3-4 €/miliardi di risparmi postali per sottoscrivere un aumento di capitale e acquisire una quota del 31-33% del nuovo capitale sociale, diluendo così la quota di Atlantia in Aspi,
mentre gli altri soci attuali (Allianz
e Silk Road Fund) potrebbero decidere
di mettere nuove risorse per mantenere le proprie quote; successivamente Atlantia
dovrebbe vendere il 20-22% delle
proprie quote ad
altri investitori istituzionali (“graditi”
a CDP), poi Aspi uscirà dal
controllo di Atlantia e sarà quotata in borsa.
-
La
previsione di un risarcimento a carico
dei Benetton: “hanno accettato di
corrispondere un cospicuo risarcimento danni (3,4 miliardi)”. Anche in questo caso c’è molta enfasi
propagandistica, poiché non sono i Benetton che dovranno realmente effettuare i
risarcimenti semmai sarà Aspi che però
verrà “comprata” da CDP e, quindi, per evitare una clamorosa beffa dovranno essere
previste forme più chiare di risarcimento a carico dei Benetton!!!
-
la
rinuncia “alla clausola di assoluto
privilegio che gli attribuiva il diritto di ottenere i mancati guadagni per tutta la durata della concessione
(circa 23 miliardi) pur in caso di
scioglimento del contratto per gravissimo inadempimento (come nel caso del
crollo del Ponte Morandi)”. Anche in questo caso c’è molta enfasi, poiché
appunto cedendo le quote Atlantia non potrà di fatto godere
di questi “privilegi”.
-
L’impegno
a effettuare: “maggiori investimenti in manutenzione e sicurezza. La sicurezza dei cittadini non è
revocabile”, nonché a svolgere maggiori
controlli: “Puntiamo ad un
rafforzamento del sistema dei controlli e all’aumento delle sanzioni anche in
caso di lievi violazioni. Nessuno resterà impunito”. Anche in questo caso c’è
molta enfasi, poiché appunto cedendo le quote Atlantia non si dovrà più preoccupare degli investimenti,
della sicurezza e dei controlli, preoccupazione che semmai passerà a CDP!!!
-
La
“salvaguardia
dei posti di lavoro”, accettando sia di “riformulare il piano tariffario
secondo le nuove indicazioni dell’autorità regolatoria (Art) e hanno accettato
di riportare in equilibrio economico e
giuridico la convenzione che appariva totalmente squilibrata a favore di Aspi”. Anche in questo caso c’è
molta enfasi, poiché appunto cedendo le quote Atlantia non si dovrà più preoccupare né dei
piani tariffari, né degli equilibri economici, preoccupazione che semmai passerà
a CDP!!!
-
La
rinuncia e l’abbandono “di tutte le cause contro il concedente”.
Questa è l’unica vera concessione fatta dai Benetton.
-
La
definizione dell’accordo (“Tutto questo
andrà tradotto nei prossimi giorni in un accordo chiaro e trasparente”),
quale “unica strada che potrà impedire la
revoca della concessione”.
(SIR del 15/7/2020) ... e non
sarà cosa facile, anzi sarà piena di imprevisti!!!
In conclusione.
Questa sintetica
ricostruzione evidenzia come accanto all’avvio della procedura di revoca
si sia sviluppata una trattativa che mirava ad “estromettere i Benetton”
dal controllo sulla società Aspi per
trasformarla in “pubblic company” con CDP quale socio di riferimento.
Questa trattativa
si è sviluppata man mano che emergevano i vari rischi connessi alla revoca
sia per quelli a carico dello Stato (lunghi contenziosi legali con eventuale
risarcimento per 23 €/miliardi), che
quelli a carico della società Atlantia (rischio fallimento di Aspi);
alla fine lo spettro della revoca è stato (probabilmente) utilizzato come
strumento di propaganda, ma anche di pressione sul concessionario.
La trattativa
e il conseguente “compromesso” raggiunto dimostrano
come fin dall’inizio siano stati sottovalutati i rischi connessi alla procedura
di revoca,
trasformando i continui richiami all’eventuale esercizio della revoca
in uno strumento propagandistico e di pressione.
Altrettanta
sottovalutazione si manifesta in merito all’entrata di CDP nella compagine
sociale di Aspi; questa
sottovalutazione riguarda per esempio: a) i
tempi: il riassetto di Aspi
avverrà per passaggi successivi nell’arco di 6-12 mesi; b) l’incertezza delle
cifre riguardanti il valore di Aspi
(nel 2017 era di circa 14,8 €/miliardi, poi calato a 11,5 miliardi); secondo
alcuni analisti il valore attuale della quota dell’88% detenuta da Atlantia in Aspi sarebbe di circa 8 €/miliardi; c) l’aumento di capitale non è operazione semplice; d) la gestione finanziaria futura di Aspi non è cosa da poco: ha una perdita
nel 2019 di ben 268 €/milioni; ha un indebitamento finanziario netto di 8,39 €/miliardi; deve effettuare investimenti
già programmati per 14,5 €/miliardi
fino al 2038, di cui 7,5 €/miliardi
già cantierabili); e) Inevitabilmente dovrà essere previsto uno “scudo
penale e civile” o una manleva per tutelare i nuovi gestori
rispetto a quelli precedenti, compreso i risarcimenti per 3,4 €/miliardi.
Dunque,
“l’estromissione
dei Benetton” non c’è nei fatti (è una semplice transazione di acquisto
quote), ma soprattutto nel merito rischia di essere un “premio”: Atlantia
evita i rischi di un fallimento derivante dall’eventuale revoca, anzi dalla cessione delle
quote del 22% incasserebbe denaro liquido per circa 2,7 €/miliardi, mentre sarebbe rivalutata la quota residua del 10-12%; soprattutto evita di sopportare
le future restrizioni finanziarie (riduzione dei pedaggi, dei risarcimenti,
ecc.); insomma i Benetton si sono “liberati” di Aspi divenuta oramai ingestibile con cause, risarcimenti e tanti
lavori da fare, dopo averla “spremuta” per anni con lauti dividendi
… non è un caso che in Borsa il titolo Atlantia abbia iniziato a crescere dopo continui ribassi.
Insomma,
l’interesse degli italiani non dipende da chi controlla Aspi, semmai dall’efficienza e dall’efficacia di come questa
società gestisce le autostrade in concessione; ma una cosa è certa: dietro ai
proclami propagandistici “c’è tanto fumo,
ma poco arrosto”.
Euro
Mazzi
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