sabato 18 luglio 2020

AUTOSTRADE: TRA REVOCA, TRATTATIVA E COMPROMESSO (prima parte)

Il crollo di 250 metri del ponte Morandi (il viadotto autostradale che collega la A7 con la A10, avvenuto in data 14/8/2018, provocando 43 morti e 566 sfollati, oltre a innumerevoli disagi alla viabilità genovese e autostradale) ha inevitabilmente catalizzato l’attenzione della politica oltre ad un immediato e intenso interesse mediatico sulla gestione delle autostrade italiani, specie liguri.
Il primo ministro G. Conte sollevava immediatamente la problematica della revoca delle concessioni autostradalia prescindere dall’inchiesta (perché) al di là delle verifiche penali, di quello che farà la magistratura con la sua inchiesta, noi non possiamo aspettare i tempi della giustizia”; a sua volta il vicepremier Luigi Di Maio precisava: “Per la prima volta c’è un governo che non ha preso soldi da Benetton, e siamo qui a dirvi che revochiamo i contratti e ci saranno multe per 150 milioni di euro” (La Stampa del 16/8/2018).
Partiva così una vicenda molto complicata e articolata in merito sia alla revoca delle concessioni, nonché alla necessità di evitare contenziosi legali e costosi risarcimenti, che alla demolizione e ricostruzione del ponte Morandi; la polemica, poi, si ampliava alla questione della concessione dell’intera rete di 3.020 km. di autostrade, interessando sia il rapporto concessorio tra lo Stato e i gestori, sia i pedaggi e la giustificazione dei loro aumenti, sia gli investimenti per nuove opere e gli interventi di manutenzione sulle opere già costruite, che la sicurezza di gallerie e dei viadotti.
Lo spettro della revoca della concessione gestita dalla società Autostrade per l'Italia Spa (Aspi) riemergeva periodicamente in questi mesi, provocando contraccolpi in Borsa in senso di aumento o di riduzione del valore del titolo Atlantia (quale diretta capogruppo di Aspi).
In occasione del “varo” del nuovo governo Conte 2, da una parte, veniva assicurato che: “Questo Governo porterà a completamento il procedimento avviato a seguito del crollo del ponte Morandi senza nessuno sconto per gli interessi privati”, ma veniva evocata, dall’altra, anche la questione della revisione delle concessioni: “Renderemo più efficiente e più razionale il sistema delle concessioni dei beni e servizi pubblici, operando una progressiva ma inesorabile revisione di tutto il sistema”, mentre la neo-ministra dei trasporti P. De Micheli era più esplicita nell’escludere l’ipotesi della revoca: “Nel programma di governo c’è scritta una parola precisa e molto diversa: revisione” (Affaritaliani del 9/9/2019).
A fine novembre 2019 il premier Conte rassicurava in merito alla revoca della concessione di Aspi di essere “in dirittura d’arrivo, il procedimento amministrativo è in corso, non faremo sconti. Il nostro obiettivo è tutelare l’interesse pubblico di tutti i cittadini” (Dire del 27/11/2019).
Mentre venivano introdotte nel decreto Milleproroghe 2019 nuove norme per rendere più uniformi le concessioni (in particolare l’articolo 33 prevede in caso di revoca della concessione il subentro dell’Anas e un drastico taglio agli indennizzi, nel caso di Aspi veniva ipotizzato una riduzione dell’indennizzo da circa 23,5 €/miliardi a 7 €/miliardi), all’interno della maggioranza emergevano posizioni differenziate sulla revoca: “Per Conte, non è il caso di mettere in atto imboscate a scopo di vendetta contro la società dei Benetton. Per il capo del M5S invece le concessioni vanno revocate e rimesse a gara a tutti i costi. Per la titolare del dicastero (P. De Micheli …) ogni decisione in merito va rimandata a gennaio (…) “la revoca è una procedura separata, sulla quale stiamo ancora acquisendo dati. Una volta che avremo terminato l’analisi, tutto il governo approfondirà il se, il come e il quando. A gennaio saremo in grado di prendere una decisione ma fino a quando non avremo esaminato tutti gli aspetti non mi sbilancio”” (Formiche del 24/12/2019).
A gennaio 2020 accanto all’ipotesi della revoca si iniziava a parlare esplicitamente di trattativa; da una parte, il premier Conte sottolineava che sulla revoca una decisione sarà presa a breve, poiché i risultati delle indagini sulle cause del crollo del ponte Morandi evidenziavano “che qualcuno ha sbagliato e commesso negligenze gravi e imperdonabili”; emergevano, però, indiscrezioni su una trattativa con la società Atlantia: “si parla di risarcimenti in denaro (2 miliardi di euro) e accollo dei costi di monitoraggio della rete (che verrebbero però eseguiti da strutture dello Stato), mentre la società avrebbe rifiutato un taglio del 5% dei pedaggi per gli anni avvenire. La trattativa è partita per evitare la revoca e il conseguente pagamento da parte dello Stato di una penale da 6-8 miliardi di euro (comunque molto meno dei 23 che sarebbero dovuti senza le norme introdotte con il decreto “mille proroghe”). Di contro Autostrade rischierebbe il fallimento, in quanto ha debiti per 10,5 miliardi di euro che difficilmente potrebbero essere onorati” (Financial Trend Analysis del 7/1/2020).
Piano piano emergevano le difficoltà e i rischi connessi alla procedura di revoca; in tal senso il presidente Conte era chiaro: “Procedere con la revoca significa mettere a rischio i conti pubblici, meglio spingere sulla revisione dei contratti in essere costringendo la società concessionaria a maggiori investimenti e a praticare sconti ai caselli” (Il paragone del 31/1/2020); con la revoca non c’è solo il rischio di danno erariale per il governo (già prospettato anche da un parere dell’Avvocatura dello Stato), c’è la sopravvivenza stessa di Aspi con il rischio di un fallimento con un “buco di 19 miliardi”, a rischio anche un prestito obbligazionario retail di 750 €/milioni detenuto da circa 17.000 piccoli risparmiatori italiani, nonché il destino di 7.000 lavoratori (Il Sole 24 ore del 13/7/2020).
Qualche mese dopo, però, Conte ribadiva che: “Per quanto mi riguarda nulla è cambiato, la procedura di revoca o caducazione è in corso, ci sono tutte le carte per portarla avanti. Sono conclamati e molteplici, documentalmente provati gli inadempimenti del concessionario”, mentre le proposte di transazione presentate da Atlantia finora non sono state considerate sufficienti, ovvero “compatibili con l’interesse generale della collettività”” (Money.it del 3/6/2020).
Dunque, revoca e trattativa andavano avanti insieme; la società Atlantia doveva insomma accettare le condizioni del Governo per evitare la revoca della sua concessione autostradale: “Il governo ha definito la sua posizione e le sue condizioni, adesso Autostrade ci deve far sapere se le accetta o no, altrimenti c’è la procedura di revoca” (Reuters del 7/7/2020).
Nel frattempo arrivava la sentenza della Corte Costituzionale che definiva legittima l’esclusione della società Aspi dalla demolizione del ponte Morandi e dalla ricostruzione del nuovo viadotto, precludendo così la sua possibilità di richiedere un risarcimento in sede civile per i presunti danni subiti e confermando il suo obbligo a pagare il nuovo ponte sulla base di un progetto ben più costoso di quello presentato dalla stessa al commissario Bucci; la sentenza richiamava il principio di precauzione (principio di derivazione europea), poiché non essendo sicuri dei danni eventualmente causati da Aspi e delle sue eventuali responsabilità, la Corte riteneva “ragionevole che il legislatore solo in via emergenziale l’abbia esclusa dalla ricostruzione” (Genova24.it del 9/7/2020).
Nel frattempo, esplodeva il problema delle code sulle autostrade liguri dovute anche ai tanti cantieri presenti nelle varie tratte per controllare gallerie e viadotti, creando disagi e danni economici notevoli e sollevando diffuse lamentele e proteste.
Intanto, emergeva la questione della futura gestione del nuovo Ponte di Genova; la ministra De Micheli (contraria alla revoca) definiva il percorso operativo necessario per inaugurare il ponte nei tempi previsti (entro 8/8/2020); tenuto conto del non avvenuto perfezionamento della procedura di revoca delle concessioni alla società Aspi, conseguentemente, era inevitabile la consegna “pro-tempore” (affido tecnico) dell’infrastruttura all’attuale concessionario, anche al fine di prevenire potenziali contenziosi legali; mentre Crimi e Di Maio precisavano che “da mesi insistiamo con i ministri competenti, che sono il Mit e il Mef (a guida Pd, ndr), per fare in modo che il ponte non sia riconsegnato ai Benetton. Questo per noi è un punto dirimente”; in questo contesto, la trattativa continuava seppur condizionata dai contrasti sui pedaggi e sull’assetto azionario, con l’ipotesi di far entrare CDP e il fondo F2i in sostituzione della società Atlantia (Il Messaggero del 9/7/2020).
La polemica sulla riconsegna del nuovo ponte ai Benetton e i ritardi accumulati nella procedura di revoca sollevavano aspre polemiche; polemiche condivise anche da parte dei familiari delle vittime; in proposito Conte precisava: “Mi auguro di chiudere il dossier “revoca” nel volgere del fine settimana. Fino a quando il concessionario sarà Autostrade il ponte non può che essere automaticamente affidato ad Autostrade. Ecco perché bisogna chiudere” (Il manifesto del 9/7/2020).
Conte, in un’intervista al Fatto Quotidiano definiva “imbarazzante” la proposta presentate da Aspi: “E sabato è arrivata una risposta ampiamente insoddisfacente, per non dire imbarazzante: tutto meno che un’accettazione piena e incondizionata delle richieste del governo”. Ancora rispetto all’ipotesi di un ingresso di CDP nell’azionariato di Aspi (dopo una riduzione della quota in mano alla famiglia Benetton) il premier precisava: “Sarebbe davvero paradossale se lo Stato entrasse in società con i Benetton, per le gravi responsabilità accumulate dal management scelto e sostenuto dai Benetton nel corso degli anni fino al crollo del Morandi” (Genova24.it del 13/7/2020).
Si arrivava così all’accordo notturno del 15/7/2020; l’accordo veniva commentato da Conte in un suo post su Facebook; il post iniziava con una frase retorica (“Le infrastrutture pubbliche sono un bene pubblico prezioso, che deve essere gestito in modo responsabile, garantendo la piena sicurezza dei cittadini e un servizio efficiente”) e terminava con una frase autocelebrativa (“una pagina inedita della nostra storia (…) Ha vinto lo Stato. Hanno vinto i cittadini. Avremo tariffe più eque e trasparenti, più efficienza, più controlli, più sicurezza. Ha vinto, infine, il rispetto della memoria delle 43 vittime del crollo del Ponte Morandi”), oltre a una frase di circostanza (“Non spetta al Governo accertare le responsabilità penali per il crollo del Ponte Morandi. Questo è compito della magistratura e confidiamo che presto si completino questi accertamenti in modo da rendere giustizia a tutte le vittime di questa tragedia”).
Conte delineava il compito del Governo: “contestare le gravi violazioni contrattuali e la cattiva gestione di cui si è resa responsabile Aspi e impedire che i privati possano continuare ad avvantaggiarsi di una concessione totalmente squilibrata a loro favore sia dal punto di vista giuridico sia dal punto di vista economico”. Si tratta di una affermazione avente natura propagandistica, poiché sono gli apparati amministrativi presenti nel MIT, nel MEF e in Anas che dovrebbero “contestare le gravi violazioni contrattuali” al concessionario, mentre al Governo spettano compiti di indirizzo politico.
Nel merito dell’accordo (definito un “negoziato durissimo”) Conte ne valutava positivamente i termini:
l’estromissione della famiglia Benetton” i quali cederanno “la loro partecipazione in Aspi”, facendo entrare CDP per trasformare Aspi in una “public company” che “avrà un socio pubblico di riferimento e sarà aperta a nuovi investitori istituzionali”. In realtà, dietro all’enfasi sulla “estromissione dei Benetton” c’è solo una comune operazione borsistica: CDP utilizzerà 3-4 €/miliardi di risparmi postali per sottoscrivere un aumento di capitale e acquisire una quota del 31-33% del nuovo capitale sociale, diluendo così la quota di Atlantia in Aspi, mentre gli altri soci attuali (Allianz e Silk Road Fund) potrebbero decidere di mettere nuove risorse per mantenere le proprie quote; successivamente Atlantia dovrebbe vendere il 20-22% delle proprie quote ad altri investitori istituzionali (“graditi” a CDP), poi Aspi uscirà dal controllo di Atlantia e sarà quotata in borsa.
-       La previsione di un risarcimento a carico dei Benetton: “hanno accettato di corrispondere un cospicuo risarcimento danni (3,4 miliardi)”. Anche in questo caso c’è molta enfasi propagandistica, poiché non sono i Benetton che dovranno realmente effettuare i risarcimenti semmai sarà Aspi che però verrà “comprata” da CDP e, quindi, per evitare una clamorosa beffa dovranno essere previste forme più chiare di risarcimento a carico dei Benetton!!!
-       la rinuncia “alla clausola di assoluto privilegio che gli attribuiva il diritto di ottenere i mancati guadagni per tutta la durata della concessione (circa 23 miliardi) pur in caso di scioglimento del contratto per gravissimo inadempimento (come nel caso del crollo del Ponte Morandi)”. Anche in questo caso c’è molta enfasi, poiché appunto cedendo le quote Atlantia non potrà di fatto godere di questi “privilegi”.
-       L’impegno a effettuare: “maggiori investimenti in manutenzione e sicurezza. La sicurezza dei cittadini non è revocabile”, nonché a svolgere maggiori controlli: “Puntiamo ad un rafforzamento del sistema dei controlli e all’aumento delle sanzioni anche in caso di lievi violazioni. Nessuno resterà impunito”. Anche in questo caso c’è molta enfasi, poiché appunto cedendo le quote Atlantia non si dovrà più preoccupare degli investimenti, della sicurezza e dei controlli, preoccupazione che semmai passerà a CDP!!!
-       La “salvaguardia dei posti di lavoro”, accettando sia di “riformulare il piano tariffario secondo le nuove indicazioni dell’autorità regolatoria (Art) e hanno accettato di riportare in equilibrio economico e giuridico la convenzione che appariva totalmente squilibrata a favore di Aspi”. Anche in questo caso c’è molta enfasi, poiché appunto cedendo le quote Atlantia non si dovrà più preoccupare né dei piani tariffari, né degli equilibri economici, preoccupazione che semmai passerà a CDP!!!
-       La rinuncia e l’abbandono “di tutte le cause contro il concedente”. Questa è l’unica vera concessione fatta dai Benetton.
-       La definizione dell’accordo (“Tutto questo andrà tradotto nei prossimi giorni in un accordo chiaro e trasparente”), quale “unica strada che potrà impedire la revoca della concessione”. (SIR del 15/7/2020) ... e non sarà cosa facile, anzi sarà piena di imprevisti!!!
In conclusione.
Questa sintetica ricostruzione evidenzia come accanto all’avvio della procedura di revoca si sia sviluppata una trattativa che mirava ad “estromettere i Benetton” dal controllo sulla società Aspi per trasformarla in “pubblic company” con CDP quale socio di riferimento.
Questa trattativa si è sviluppata man mano che emergevano i vari rischi connessi alla revoca sia per quelli a carico dello Stato (lunghi contenziosi legali con eventuale risarcimento per 23 €/miliardi), che quelli a carico della società Atlantia (rischio fallimento di Aspi); alla fine lo spettro della revoca è stato (probabilmente) utilizzato come strumento di propaganda, ma anche di pressione sul concessionario.
La trattativa e il conseguente “compromesso” raggiunto dimostrano come fin dall’inizio siano stati sottovalutati i rischi connessi alla procedura di revoca, trasformando i continui richiami all’eventuale esercizio della revoca in uno strumento propagandistico e di pressione.
Altrettanta sottovalutazione si manifesta in merito all’entrata di CDP nella compagine sociale di Aspi; questa sottovalutazione riguarda per esempio: a) i tempi: il riassetto di Aspi avverrà per passaggi successivi nell’arco di 6-12 mesi; b) l’incertezza delle cifre riguardanti il valore di Aspi (nel 2017 era di circa 14,8 €/miliardi, poi calato a 11,5 miliardi); secondo alcuni analisti il valore attuale della quota dell’88% detenuta da Atlantia in Aspi sarebbe di circa 8 €/miliardi; c) l’aumento di capitale non è operazione semplice; d) la gestione finanziaria futura di Aspi non è cosa da poco: ha una perdita nel 2019 di ben 268 €/milioni; ha un indebitamento finanziario netto di 8,39 €/miliardi; deve effettuare investimenti già programmati per 14,5 €/miliardi fino al 2038, di cui 7,5 €/miliardi già cantierabili); e) Inevitabilmente dovrà essere previsto uno “scudo penale e civile” o una  manleva per tutelare i nuovi gestori rispetto a quelli precedenti, compreso i risarcimenti per 3,4 €/miliardi.
Dunque, “l’estromissione dei Benetton” non c’è nei fatti (è una semplice transazione di acquisto quote), ma soprattutto nel merito rischia di essere un “premio”: Atlantia evita i rischi di un fallimento derivante dall’eventuale revoca, anzi dalla cessione delle quote del 22% incasserebbe denaro liquido per circa 2,7 €/miliardi, mentre sarebbe rivalutata la quota residua del 10-12%; soprattutto evita di sopportare le future restrizioni finanziarie (riduzione dei pedaggi, dei risarcimenti, ecc.);  insomma i Benetton si sono “liberati” di Aspi divenuta oramai ingestibile con cause, risarcimenti e tanti lavori da fare, dopo averla “spremuta” per anni con lauti dividendi … non è un caso che in Borsa il titolo Atlantia abbia iniziato a crescere dopo continui ribassi.
Insomma, l’interesse degli italiani non dipende da chi controlla Aspi, semmai dall’efficienza e dall’efficacia di come questa società gestisce le autostrade in concessione; ma una cosa è certa: dietro ai proclami propagandistici “c’è tanto fumo, ma poco arrosto”.

Euro Mazzi

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