L’Ente provinciale
spezzino in questi ultimi anni ha subito le conseguenze negative derivanti
dall’applicazione della riforma c.d. Delrio (legge n. 56/2014), la quale ha
inciso non solo per la modifica del sistema elettorale del presidente e del consiglio provinciale (in quanto non più
direttamente eletti dalla popolazione, ma con diritto di elettorato attivo e
passivo riconosciuto solo ai sindaci e ai consiglieri dei comuni della
provincia, cioè sono diventati organi elettivi di secondo grado),
ma soprattutto per: a) un insensato e parziale “svuotamento/depotenziamento”
organizzativo in favore di Comuni e Regione; b) per un’incompiuta e confusa trasformazione in “ente di area vasta” (legge
n. 56/2014 art. 1 comma 3: “Le province sono enti territoriali di area vasta”).
La
“bocciatura
referendaria” del 4/12/2016 ha confermato la permanenza delle Province
quale Ente previsto dalla Costituzione (mentre la riforma costituzionale
Renzi-Boschi non mirava alla loro soppressione, ma soltanto a toglierle dal
testo costituzionale, cioè a “decostituzionalizzarle”),
confermando la previsione della legge Delrio di trasformazione in “ente
di area vasta”; dunque, questa “bocciatura” non è la causa
principale dell’attuale “grave confusione” in cui versano le Province.
Semmai, una parte di responsabilità risiede proprio nella legge n. 56/2014; infatti, la stessa Corte dei Conti (delibera del 30/4/2015) aveva subito evidenziato i rischi derivanti da questa legge nel determinare una grave incertezza organizzativa e nel generare gravi scompensi nella loro situazione finanziaria, dal momento che le Province continuavano a dover gestire specifiche funzioni, ma con personale e fondi a disposizione assai ridotti.
Semmai, una parte di responsabilità risiede proprio nella legge n. 56/2014; infatti, la stessa Corte dei Conti (delibera del 30/4/2015) aveva subito evidenziato i rischi derivanti da questa legge nel determinare una grave incertezza organizzativa e nel generare gravi scompensi nella loro situazione finanziaria, dal momento che le Province continuavano a dover gestire specifiche funzioni, ma con personale e fondi a disposizione assai ridotti.
Del
resto, risulta incomprensibile come dal 2014-16 non sia stata varata una effettiva
riforma delle Province su cui tutti i partiti e movimenti (“a
proclami”) concordano, ritenendole enti inutili e, quindi, esaltandone
i conseguenti risparmi derivanti dalla loro abolizione (“costano troppo e contano poco”),
quale presenza superflua fra il
Comune e l’assai più rilevante Regione; la conseguenza di questa inattività è la
perdurante incertezza, poiché le
Province si trovano in una “terra di nessuno” in attesa di
completare la loro trasformazione (da un tipo di ente ad un altro) senza sapere
in quale direzione effettivamente dovranno andare, con la conseguenza di “cristallizzare”
le insulse previsioni della legge Delrio.
Nonostante
il loro depotenziamento, le Province devono ancora svolgere varie funzioni
fondamentali per i cittadini (dalla manutenzione delle strade e delle scuole
superiori, alla gestione dei rifiuti, alla tutela idrogeologica e ambientale,
ecc.), ma con minori risorse.
La Provincia di La Spezia, per esempio, ha registrato un drastico calo del proprio personale: nel 2003 erano 297 dipendenti che salivano nel 2014 a 311, per poi calare significativamente: a 241 nel 2015, a 166 nel 2016, a 137 nel 2017, a 127 nel 2018 e a 110 nel 2019. Si tratta di un calo di ben 201 dipendenti realizzato in pochi anni; la gran parte di questi sono stati collocati presso vari Comuni e presso la Regione, ma questa fuoriuscita di dipendenti ha creato evidenti “vuoti” di professionalità e di risorse atte a lavorare nei vari uffici provinciali, creando inevitabilmente disagi e disguidi.
Precedenti post sulla situazione finanziaria della Provincia:
1) IL QUASI “DISSESTO” DELLA PROVINCIA SPEZZINA: ULTERIORE DIMOSTRAZIONE DI GRAVE INCAPACITÀ …: QUI
Altri post sulla riforma delle Province:
- (CONTRO)RIFORMA COSTITUZIONALE: LA FAVOLA DELLE PROVINCE, ELIMINATE COME NOME e RINATE COME ENTI DI AREA VASTA …: QUI
- (CONTRO)RIFORMA COSTITUZIONALE: SUI RISPARMI I CONTI NON TORNANO … TRA APPROSSIMAZIONI E DEMAGOGIA: QUI
Altri post su problematiche gestionali della Provincia:
- LA GARA PER LA DISTRIBUZIONE DEL GAS: UNA PROTESTA PER UNA “PRESA IN GIRO” …: QUI
- UN LUNGIMIRANTE ASSURDO AMMINISTRATIVO: deliberare a fine 2015 il programma per l'ATC del 2012-2015: QUI
- PARTECIPATE: IL CASO “AZIENDA AGRICOLA DIMOSTRATIVA”: QUI
-
SERVIZIO
IDRICO INTEGRATO: Quanto ci costa l’acqua: QUI
- SERVIZIO IDRICO INTEGRATO: investimenti e costo dell’acqua: QUI
La Provincia di La Spezia, per esempio, ha registrato un drastico calo del proprio personale: nel 2003 erano 297 dipendenti che salivano nel 2014 a 311, per poi calare significativamente: a 241 nel 2015, a 166 nel 2016, a 137 nel 2017, a 127 nel 2018 e a 110 nel 2019. Si tratta di un calo di ben 201 dipendenti realizzato in pochi anni; la gran parte di questi sono stati collocati presso vari Comuni e presso la Regione, ma questa fuoriuscita di dipendenti ha creato evidenti “vuoti” di professionalità e di risorse atte a lavorare nei vari uffici provinciali, creando inevitabilmente disagi e disguidi.
Gli stessi revisori dei conti hanno in più occasioni segnalato
la gravità di questa problematica: “con riferimento a come il pesantissimo processo di riduzione delle risorse umane, imposto
dalla normativa ed applicato dall’Ente in misura ancora più rigorosa di quanto
imposto dalla legge, abbia depauperato
l’Ente in misura tale da mettere in
pericolo il normale funzionamento di funzioni amministrative ordinarie
quali, tra le altre, la ragioneria e l’avvocatura. In tal senso, la tardiva
approvazione dei consuntivi 2016 e 2017, e la predisposizione dei bilanci di
previsione 2017 e 2018 alla fine dei rispettivi anni, appaiono un evidente
segnale di complessiva difficoltà operativa, anche nel settore amministrativo” (Relazione al
Bilancio Preventivo 2018, pag. 39).
La
gravità di questa situazione non
consiste nella riduzione numerica di personale, ma nella perdita di significative professionalità adatte
per ogni specifico servizio da svolgere (con l’aggiunta della quasi totale
assenza di adeguata formazione professionale al personale rimasto) e,
soprattutto, dall’assenza di provvedimenti
di riorganizzazione degli uffici e delle modalità operative di svolgimento delle incombenze lavorative.
Una
semplice riduzione numerica del personale comporta una riduzione del suo costo,
il quale, infatti, è drasticamente passato dai 13,6 €/milioni del 2009 ai 4,8
€/milioni del 2017, anche se per il periodo 2018-2020 si prevede un
incremento a circa 5,5 €/milioni. Questa
riduzione si è riversata positivamente sull’andamento della spesa corrente, ma
quest’ultima a sua volta è calata di meno, dimostrando così la scarsa incidenza
del costo del lavoro rispetto a tutte le altre spese che la compongono;
infatti, nel periodo 2009-2017 mentre il costo del personale è diminuito di ben
75 punti percentuali, la riduzione
delle spese correnti ammonta a circa 26
punti, essendo passata dai 66,3 €/milioni
del 2009 ai 49,4 €/milioni del 2017.
Se
si esamina la composizione della spesa corrente si scopre che la voce più
importante è costituita dal ricorso all’acquisto di beni e servizi di terzi:
nel 2010 queste voci ammontavano a 43,9
€/milioni (pari al 59,67% della spesa corrente) che sono calate nel 2017 a 25,2 €/milioni (pari al 50,95% delle
spese correnti), con una riduzione di soli 9
punti percentuali, contribuendo così a mantenere più elevata la spesa corrente, nonostante la più
accentuata riduzione della spesa del personale.
Se
si passa ad esaminare l’andamento delle entrate è possibile evidenziare come
nel periodo 2009-2017 le entrate correnti siano diminuite di circa 25 punti (positivamente in linea con
l’analoga riduzione della spesa corrente), essendo passate da 68,4 €/milioni del 2009 ai 50,5 €/milioni del 2017.
L’analisi della composizione delle entrate correnti evidenzia la minore incidenza delle entrate proprie rispetto ai fondi trasferiti da strutture statali, regionali ed europee; infatti, queste ultime assicurano circa il 58-60% delle entrate correnti, e conseguentemente emerge l’importanza negativa dei provvedimenti di contenimento della spesa pubblica (i famosi “tagli verticali”) che hanno colpito le Province nel periodo 2013-2015; infatti, per l’Ente spezzino questi tagli hanno significato una riduzione di risorse per circa 7-9 punti percentuali, contribuendo così ad ampliare il suo deficit.
L’analisi della composizione delle entrate correnti evidenzia la minore incidenza delle entrate proprie rispetto ai fondi trasferiti da strutture statali, regionali ed europee; infatti, queste ultime assicurano circa il 58-60% delle entrate correnti, e conseguentemente emerge l’importanza negativa dei provvedimenti di contenimento della spesa pubblica (i famosi “tagli verticali”) che hanno colpito le Province nel periodo 2013-2015; infatti, per l’Ente spezzino questi tagli hanno significato una riduzione di risorse per circa 7-9 punti percentuali, contribuendo così ad ampliare il suo deficit.
Alla
bassa incidenza delle entrate proprie (cioè le imposte, tasse e tariffe di
competenza provinciale) e al loro progressivo calo (sono infatti passate da 28,9 €/milioni del 2009 ai 20,1 €/milioni del 2017), si deve
aggiungere il problema della loro lunga
e difficile riscossione.
Il problema della difficoltà nella riscossione riguarda tutte le voci che compongono le entrate della Provincia; per esempio, all’inizio del 2017 vi erano ben 48,4 €/milioni di residui attivi (cioè le somme da riscuotere) di cui nel corso dell’anno ne sono stati riscossi solo 10,9 €/milioni e stralciati altri 7,0 €/milioni, determinando un saldo a fine anno di 30,4 €/milioni. A sua volta questo elevato importo di residui comporta la necessità di accantonare maggiori risorse, privando l’Ente di somme da utilizzarle per altri scopi amministrativi, ma soprattutto determinando così un disavanzo di gestione.
Il problema della difficoltà nella riscossione riguarda tutte le voci che compongono le entrate della Provincia; per esempio, all’inizio del 2017 vi erano ben 48,4 €/milioni di residui attivi (cioè le somme da riscuotere) di cui nel corso dell’anno ne sono stati riscossi solo 10,9 €/milioni e stralciati altri 7,0 €/milioni, determinando un saldo a fine anno di 30,4 €/milioni. A sua volta questo elevato importo di residui comporta la necessità di accantonare maggiori risorse, privando l’Ente di somme da utilizzarle per altri scopi amministrativi, ma soprattutto determinando così un disavanzo di gestione.
Anche
i residui passivi (cioè le somme da pagare) sono elevati: all’inizio del 2017 ve ne erano per un
ammontare di 54,3 €/milioni, di cui
nel corso dell’anno ne sono stati pagati 26,3
€/milioni e stralciati per 6,7
€/milioni, determinando così un saldo a fine anno di 21,1 €/milioni.
Proprio
nel corso del riaccertamento straordinario dei residui attivi e passivi avvenuto
nel 2015 è emerso un disavanzo, inizialmente accertato in € 9.576.349,35, importo successivamente rilevato come erroneo da
parte della Corte dei Conti (pronuncia n. 111 del 23/12/2016) e rideterminato
in € 10.573.993,78; questo disavanzo
veniva “coperto” con un Piano di Riequilibrio Finanziario trentennale.
Nei
rendiconti successivi si sono ricreati ulteriori
disavanzi: nel 2015 sono € 2.931.720
(da rimborsare con quote annuali di €
366.465,11); nel 2016 sono €
2.994.841,10 (suddivisi in quote annuali di € 427.834,44); nel 2017 sono ulteriori € 2.053.051,54 il cui piano di rientro deve ancora essere
approvato.
La
situazione finanziaria della Provincia spezzina appare, dunque, alquanto
delicata non solo per l’ammontare del disavanzo, ma anche per la “confusione”
amministrativa in cui versa, come hanno ben evidenziato i revisori: “La mancata approvazione dei bilanci
preventivi nonché la mancata valutazione del Piano di riequilibrio hanno
determinato negli ultimi anni un'alterazione
della cronologia e della gestione
dei fatti amministrativi e contabili, determinando un'alternanza tra esercizio provvisorio e gestione provvisoria” (Relazione
al Bilancio Preventivo 2018, pag. 59).
Questa
grave situazione finanziaria non
deriva soltanto dai “tagli verticali” governativi e/o dai
nefasti provvedimenti del Governo Renzi (legge Delrio e riforma costituzionale
Renzi-Boschi), ma viene da molto lontano, poiché trova la sua origine nella negativa gestione amministrativa del
decennio 2004-2013.
La
Corte dei Conti aveva già evidenziato come i rendiconti 2009-10-11-12 evidenziassero
una situazione finanziaria “connotata da criticità che pregiudicano gli
equilibri finanziari dell’Ente, soprattutto in riferimento alla gestione di
parte corrente ed in conto residui (… accertando) la mancanza in termini strutturali degli equilibri di bilancio di parte
corrente, nonché la presenza di un risultato di amministrazione negativo”
(Pronuncia n. 42 /2013).
La
stessa Corte successivamente si pronunciava ancora più duramente: “La Sezione ha, quindi, accertato: la mancata
approvazione del bilancio di previsione 2014, del rendiconto 2014 e del
bilancio pluriennale 2014-2016; il grave squilibrio finanziario per gli anni
2013 e 2014, e, sulla base dei dati previsionali, per gli anni 2016 e 2017,
tale da determinare le condizioni di ricorso alla procedure di dissesto finanziario
(…) accerta il disavanzo di
amministrazione e la critica situazione finanziaria della Provincia di La
Spezia” (delibera n. 111/2016).
Un’ulteriore
conferma ci perviene dall’elevato ammontare dell’indebitamento: nel 2009 vi
erano ben 55,5 €/milioni, saliti a 59,0 €/milioni nel 2011, costringendo l’Ente spezzino a non contrarre più
mutui per determinare una progressiva e costante riduzione dell'ammontare complessivo dei mutui; conseguentemente nel 2019
l’indebitamente è calato a 24,5 €/milioni,
contribuendo altresì (insieme alla riduzione delle entrate in conto capitale)
alla costante diminuzione degli investimenti.
In conclusione. Le vicende
legate alla "confusa" riforma delle Province rappresentano in maniera chiara l’incapacità
di una classe politica di produrre e applicare idee e progetti realmente “riformisti”,
preferendo procedere con annunci, frasi fatte, costantemente ripetute e
ricopiate, che nascondono un vuoto assai preoccupante di progettualità per il futuro.
In
questo “deserto progettuale”, emerge anche l’incapacità gestionale
nell’amministrare Enti pubblici così importanti e assai complessi, con la
conseguenza di generare “confusione e incertezza” che produce disavanzi,
deficit e conseguenti piani di rientro con dispersione di risorse e di funzioni
organizzative ... con una sola certezza: purtroppo, a subirne le conseguenze sono (come sempre e
inesorabilmente) i cittadini che dovranno pagare di più per ricevere minori e
peggiori servizi pubblici.
Euro
Mazzi
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- (CONTRO)RIFORMA COSTITUZIONALE: SUI RISPARMI I CONTI NON TORNANO … TRA APPROSSIMAZIONI E DEMAGOGIA: QUI
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- LA GARA PER LA DISTRIBUZIONE DEL GAS: UNA PROTESTA PER UNA “PRESA IN GIRO” …: QUI
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