Il
ministro spezzino Andrea Orlando ha dichiarato in data 8/3/2017 che: “Non si può battere il populismo con il populismo:
in passato, prima del referendum, c'è stato un cedimento ma se si usano
argomenti simili ai populisti poi la gente vota l'originale (…) E' un veleno che è entrato nel Pd e
rischia di essere un rischio mortale per il partito”.
Fa
piacere constatare che esponenti autorevoli interni al partito si accorgano
finalmente di una modificazione sostanziale (o “deviazione”) del modo di fare politica da parte del PD e,
conseguentemente, del modo di governare il Paese.
Durante
la campagna referendaria in un post avevo già evidenziato come la propaganda
del SI fosse “imperniata su messaggi che
“cavalcano” apertamente il già diffuso e dilagante “populismo” … Credo che la suindicata massiccia propaganda “populista” sia una delle cause della non credibilità della riforma
Renzi/Boschi: la troppa insistenza su elementi di pura demagogia evidenziano i
suoi vizi intrinseci di falsità. I
troppi e così autorevoli “endorsement” interni e internazionali rivelano come
questi siano più interessati al proprio vantaggio che non al vero benessere
degli italiani. E tutto questo potrebbe rivelarsi un pericoloso boomerang”
(vedere il post: QUI).
L’uso
delle tematiche “populiste” non era
soltanto un modo semplicistico di fare propaganda strumentale per tentare di far
vincere il SI, ma è collegato ad un modo
di concepire la “politica” e “il governare” così sintetizzabile: un Capo/governo esecutivo e un Popolo, in un
rapporto diretto e senza mediazioni, attraverso la tecnica del convincimento comunicativo, un confronto politico che
si consuma nel voto che stabilisce un
“vincitore” che governa incontrastato.
Indispensabile
corollario di questo modo di “fare politica/governo”
è il “decisionismo”
(o “democrazia decidente”), necessariamente indifferente verso il tema della
rappresentanza, nonché insofferente verso i vincoli costituzionali e istituzionali
e verso le inevitabili “lungaggini”.
In
tal senso, non è un caso che Renzi, dopo la sconfitta referendaria, le sue
travagliate dimissioni, ora per “rientrare”
deve riprendersi il partito per poi tentare di mettersi alla guida del futuro
governo, sia ora ritornato al Lingotto per riunire i suoi sostenitori in vista
del voto alle primarie per la segreteria del PD.
In
tale contesto è assai significativo il motto adottato: “Tornare a casa. Per ripartire insieme” (una presa in giro??? Renzi aveva più volte dichiarato che se avesse vinto
il No al referendum costituzionale sarebbe “tornato
a casa”);
il Lingotto di Torino è considerato una “casa” perché vi era nato quel Pd di Walter Veltroni a “vocazione maggioritaria” che Renzi ha ereditato
prima, trasformato poi nel “Partito della Nazione” e che ora vuole
rivitalizzare.
Walter
Veltroni in data 27/6/2007 descrisse il PD come: “un partito che punta non a rappresentare questa o quella componente
identitaria o sociale, per quanto ampia possa essere, ma a porsi l'obiettivo di
carattere generale di conquistare nel
Paese i consensi necessari a portare avanti un programma di governo,
incisivamente riformatore”. Veltroni immaginava un partito che doveva
apparire: “come una istituzione civile, che svolge
una funzione pubblica e che come tale appartiene a tutti i cittadini che
intendono abitarlo”, cioè una contraddizione nei termini poiché pensare un
partito come “istituzione civile” è l’esatto contrario dell’essere “partito”,
il quale dovrebbe rappresentare inevitabilmente interessi di una parte e,
quindi, parziali ma non certamente né generali né propri di una funzione pubblica. Diversamente
da Renzi, Veltroni puntava ancora sulle alleanze: “Non per questo, un partito a vocazione
maggioritaria, quale il Pd deve essere, è una forza che si pensa come autosufficiente: al contrario, è
un partito che intende valorizzare l'alleanza di centrosinistra”.
Diventato
prima segretario nazionale del Pd e poi capo del Governo, Renzi ha cercato di
realizzare il disegno già annunciato da Veltroni al Lingotto nel 2007; la
versione 2.0 del partito a “vocazione
maggioritaria” è il “Partito della Nazione”,
apparentemente un partito di/per tutti (giovani e anziani, poveri e ricchi, operai e
imprenditori, ecc.) che però si rivela essere una operazione sbagliata fin dall’inizio,
perché cancellava anche gli ultimi bagliori delle culture politiche dei
due partiti di riferimento (PCI e sinistra DC), un contenitore dove ridurre a
forzosa unità i filoni politici che, nella cultura italiana ed europea, si
erano da sempre confrontati nella distinzione dei ruoli e nella loro
contrapposizione ideale, programmatica ed elettorale.
Il
collante del partito diviene la gestione del potere a tutti i livelli senza
alcuna determinazione nel rapporto con le contraddizioni sociali (che stanno allargandosi
in una società insieme parcellizzata e fortemente conflittuale); un potere che
deve essere costantemente plasmato, utilizzando il generico slogan del “riformismo”.
Il
PD diventa un partito di sinistra o centro-sinistra che fa di fatto una
politica sostanzialmente di destra e conservatrice, la protesi politica dell’Europa;
tenta in concreto di governare l’esistente, con l’evidente rinuncia a mettere in
discussione la realtà di una società sempre più diseguale, mantenendo però la pretesa di considerarsi di sinistra
e di essere portatore dell’unica politica oggi possibile e attuabile. Nel PD si
riscontrano anche tratti del “partito personale”, fondato, in
forma piramidale per aggregazioni
successive, su di una base di “individualismo competitivo” che si
evidenzia sia nelle “primarie” che nell'organizzazione verticistica.
In
tal senso, Veltroni in data 27/5/2014 riconosceva a Renzi di “saper parlare a tutti gli italiani” e
di avere una personalità e una determinazione: “la “cattiveria” che io non
ho saputo avere (…) Se il sogno si è
avverato, il merito è suo”.
Il
progetto di Renzi si è fondato principalmente su due leggi: l’Italicum e la riforma costituzionale ... ma di fatto non si è realizzato mai perché bocciato dai cittadini e dalla Corte Costituzionale!!!
L’Italicum si basava su un concetto semplice (il premio di maggioranza riconosciuto non alla coalizione ma alla lista con il 40% dei consensi o dopo il ballottaggio) per avere una legge elettorale in grado di consentire al PD di aggiudicarsi da solo il premio di maggioranza, superando il bipolarismo e approdando al bipartitismo per governare da solo ed eliminando il potere di veto dei piccoli partiti; di questa legge elettorale Renzi ne esaltava altresì la possibilità di indicare subito un vincitore certo.
L’Italicum si basava su un concetto semplice (il premio di maggioranza riconosciuto non alla coalizione ma alla lista con il 40% dei consensi o dopo il ballottaggio) per avere una legge elettorale in grado di consentire al PD di aggiudicarsi da solo il premio di maggioranza, superando il bipolarismo e approdando al bipartitismo per governare da solo ed eliminando il potere di veto dei piccoli partiti; di questa legge elettorale Renzi ne esaltava altresì la possibilità di indicare subito un vincitore certo.
Significativo
un commento del sindaco fiorentino Dario Nardella in data 27/10/2014: “Ora finalmente abbiamo la possibilità di avere un partito che può vincere e poi governare, senza alleati che mettono i bastoni tra
le ruote per far fallire le coalizioni di governo”.
La
riforma costituzionale Renzi/Boschi completava il progetto della “vocazione maggioritaria”, attraverso
la previsione di un accentramento sul Governo (e sul suo Capo) dei poteri
regionali e la gestione del Parlamento e dei suoi tempi, spostando l’asse dalla
centralità della rappresentanza a quella della governabilità.
Così
il 4/12/2016 la sconfitta referendaria
ha bloccato questa “marcia trionfale”, Renzi è azzoppato, il PD è lacerato e correntizio;
incerto sull’oggi e in ansia sul proprio domani; pare improvvisamente finita anche
l’epoca del Pd al 40% e così pure del Partito della Nazione.
Ed
ecco il Lingotto versione 2017. Nannicini sostiene che il PD dovrebbe recuperare la sua vera natura di “partito
a vocazione maggioritaria che non
si rassegna alle regole della “democrazia
consociativa”. Quella che uno va a votare, poi si decide con chi allearsi a
tavolino dopo le elezioni”; Renzi a sua volta ripropone, quindi, la tesi
del segretario del partito quale candidato premier che detta la linea: “O il Pd disegna i prossimi dieci anni, o
il Pd non serve più” e poi "si governa e si decide”.
Sembra di
ritornare al passato ... la sconfitta referendaria è un malaugurato incidente ... senza alcuna analisi; Renzi
si scorda di parecchi elementi (la sua personalizzazione, le tante banalità egoriferite,
l’esaltazione del combattente solitario, il vuoto delle parole e degli slogan,
ecc.) e i necessari accenni di autocritica,
semmai sono gli elettori rei di non averlo capito (poiché la massa è normale, mentre
il leader che la guida è eccezionale).
Se
l’incapacità di imparare dalle proprie sconfitte è premessa certa di sconfitte
future, allora basta aspettare con l’unica consolazione che questo varrà ad
abbreviare questa lunga agonia che potrebbe al contrario dilungarsi per lungo
tempo con danni ulteriori per il Paese.
In
conclusione, la radice del “populismo”
interno al PD (denunciato anche da Orlando) si ritrova, appunto, proprio nella
concezione stessa del PD, cioè nel suo atto fondativo (nel “Manifesto dei valori del PD”
approvato il 16/2/2008): “La vocazione
maggioritaria del Partito Democratico, il suo proporsi come partito del Paese,
come grande forza nazionale (…) che
sia in grado di dare adeguate risposte ai grandi problemi del presente e del
futuro”.
Senza
una analisi e una presa di coscienza di questo elemento “fondante” l’equivoco
populista continuerà a caratterizzare non solo il PD, ma la stessa azione di
governo a guida PD, poiché la pretesa di essere “una istituzione civile, che svolge una funzione pubblica” fa perdere ogni contatto con il Paese reale, e con il suo profondissimo
malessere; un Paese che intanto sprofonda sotto gli slogan, come quello di un “Italia
che riparte” … mentre “i poveri sono sempre più poveri e i ricchi
sempre più ricchi”, ma il moderatismo del PD ha continuato a ripetere: “a
questo stato delle cose non c'è alternativa”.
Euro Mazzi
Puoi vedere le altre due parti:
- prima parte: QUI
- seconda parte: QUI
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