lunedì 13 marzo 2017

IL POPULISMO DEL PDRenziano (parte terza)

Il ministro spezzino Andrea Orlando ha dichiarato in data 8/3/2017 che: “Non si può battere il populismo con il populismo: in passato, prima del referendum, c'è stato un cedimento ma se si usano argomenti simili ai populisti poi la gente vota l'originale (…) E' un veleno che è entrato nel Pd e rischia di essere un rischio mortale per il partito”.
Fa piacere constatare che esponenti autorevoli interni al partito si accorgano finalmente di una modificazione sostanziale (o “deviazione”) del modo di fare politica da parte del PD e, conseguentemente, del modo di governare il Paese.
Durante la campagna referendaria in un post avevo già evidenziato come la propaganda del SI fosse “imperniata su messaggi che “cavalcano” apertamente il già diffuso e dilagante “populismo” … Credo che la suindicata massiccia propaganda “populista” sia una delle cause della non credibilità della riforma Renzi/Boschi: la troppa insistenza su elementi di pura demagogia evidenziano i suoi vizi intrinseci di falsità. I troppi e così autorevoli “endorsement” interni e internazionali rivelano come questi siano più interessati al proprio vantaggio che non al vero benessere degli italiani. E tutto questo potrebbe rivelarsi un pericoloso boomerang” (vedere il post: QUI).

L’uso delle tematiche “populiste” non era soltanto un modo semplicistico di fare propaganda strumentale per tentare di far vincere il SI, ma è collegato ad un modo di concepire la “politica” e “il governare” così sintetizzabile: un Capo/governo esecutivo e un Popolo, in un rapporto diretto e senza mediazioni, attraverso la tecnica del convincimento comunicativo, un confronto politico che si consuma nel voto che stabilisce un “vincitore” che governa incontrastato.
Indispensabile corollario di questo modo di “fare politica/governo” è il “decisionismo” (o “democrazia decidente”), necessariamente indifferente verso il tema della rappresentanza, nonché insofferente verso i vincoli costituzionali e istituzionali e verso le inevitabili “lungaggini”.
In tal senso, non è un caso che Renzi, dopo la sconfitta referendaria, le sue travagliate dimissioni, ora per “rientrare” deve riprendersi il partito per poi tentare di mettersi alla guida del futuro governo, sia ora ritornato al Lingotto per riunire i suoi sostenitori in vista del voto alle primarie per la segreteria del PD.
In tale contesto è assai significativo il motto adottato: Tornare a casa. Per ripartire insieme (una presa in giro??? Renzi aveva più volte dichiarato che se avesse vinto il No al referendum costituzionale sarebbe “tornato a casa”); il Lingotto di Torino è considerato una “casa” perché vi era nato quel Pd di Walter Veltroni a “vocazione maggioritaria” che Renzi ha ereditato prima, trasformato poi nel “Partito della Nazione” e che ora vuole rivitalizzare.
Walter Veltroni in data 27/6/2007 descrisse il PD come: “un partito che punta non a rappresentare questa o quella componente identitaria o sociale, per quanto ampia possa essere, ma a porsi l'obiettivo di carattere generale di conquistare nel Paese i consensi necessari a portare avanti un programma di governo, incisivamente riformatore”. Veltroni immaginava un partito che doveva apparire: “come una istituzione civile, che svolge una funzione pubblica e che come tale appartiene a tutti i cittadini che intendono abitarlo”, cioè una contraddizione nei termini poiché pensare un partito come “istituzione civile” è l’esatto contrario dell’essere “partito”, il quale dovrebbe rappresentare inevitabilmente interessi di una parte e, quindi, parziali ma non certamente né generali né propri di una funzione pubblica. Diversamente da Renzi, Veltroni puntava ancora sulle alleanze: “Non per questo, un partito a vocazione maggioritaria, quale il Pd deve essere, è una forza che si pensa come autosufficiente: al contrario, è un partito che intende valorizzare l'alleanza di centrosinistra.
Diventato prima segretario nazionale del Pd e poi capo del Governo, Renzi ha cercato di realizzare il disegno già annunciato da Veltroni al Lingotto nel 2007; la versione 2.0 del partito a “vocazione maggioritaria” è il “Partito della Nazione”, apparentemente un partito di/per tutti (giovani e anziani, poveri e ricchi, operai e imprenditori, ecc.) che però si rivela essere una operazione sbagliata fin dall’inizio, perché cancellava anche gli ultimi bagliori delle culture politiche  dei due partiti di riferimento (PCI e sinistra DC), un contenitore dove ridurre a forzosa unità i filoni politici che, nella cultura italiana ed europea, si erano da sempre confrontati nella distinzione dei ruoli e nella loro contrapposizione ideale, programmatica ed elettorale.
Il collante del partito diviene la gestione del potere a tutti i livelli senza alcuna determinazione nel rapporto con le contraddizioni sociali (che stanno allargandosi in una società insieme parcellizzata e fortemente conflittuale); un potere che deve essere costantemente plasmato, utilizzando il generico slogan del “riformismo”.
Il PD diventa un partito di sinistra o centro-sinistra che fa di fatto una politica sostanzialmente di destra e conservatrice, la protesi politica dell’Europa; tenta in concreto di governare l’esistente, con l’evidente rinuncia a mettere in discussione la realtà di una società sempre più diseguale, mantenendo però la pretesa di considerarsi di sinistra e di essere portatore dell’unica politica oggi possibile e attuabile. Nel PD si riscontrano anche tratti del “partito personale”, fondato, in forma piramidale per aggregazioni successive, su di una base di “individualismo competitivo” che si evidenzia sia nelle “primarie” che nell'organizzazione verticistica.
In tal senso, Veltroni in data 27/5/2014 riconosceva a Renzi di “saper parlare a tutti gli italiani” e di avere una personalità e una determinazione: la “cattiveria” che io non ho saputo avere (…) Se il sogno si è avverato, il merito è suo”.
Il progetto di Renzi si è fondato principalmente su due leggi: l’Italicum e la riforma costituzionale ... ma di fatto non si è realizzato mai perché bocciato dai cittadini e dalla Corte Costituzionale!!!
L’Italicum si basava su un concetto semplice (il premio di maggioranza riconosciuto non alla coalizione ma alla lista con il 40% dei consensi o dopo il ballottaggio) per avere una legge elettorale in grado di consentire al PD di aggiudicarsi da solo il premio di maggioranza, superando il bipolarismo e approdando al bipartitismo per governare da solo ed eliminando il potere di veto dei piccoli partiti; di questa legge elettorale Renzi ne esaltava altresì la possibilità di indicare subito un vincitore certo.
Significativo un commento del sindaco fiorentino Dario Nardella in data 27/10/2014: “Ora finalmente abbiamo la possibilità di avere un partito che può vincere e poi governare, senza alleati che mettono i bastoni tra le ruote per far fallire le coalizioni di governo”.
La riforma costituzionale Renzi/Boschi completava il progetto della “vocazione maggioritaria”, attraverso la previsione di un accentramento sul Governo (e sul suo Capo) dei poteri regionali e la gestione del Parlamento e dei suoi tempi, spostando l’asse dalla centralità della rappresentanza a quella della governabilità.
Così il 4/12/2016 la sconfitta referendaria ha bloccato questa “marcia trionfale”, Renzi è azzoppato, il PD è lacerato e correntizio; incerto sull’oggi e in ansia sul proprio domani; pare improvvisamente finita anche l’epoca del Pd al 40% e così pure del Partito della Nazione.
Ed ecco il Lingotto versione 2017. Nannicini sostiene che il PD dovrebbe recuperare la sua vera natura di “partito a vocazione maggioritaria che non si rassegna alle regole della “democrazia consociativa”. Quella che uno va a votare, poi si decide con chi allearsi a tavolino dopo le elezioni”; Renzi a sua volta ripropone, quindi, la tesi del segretario del partito quale candidato premier che detta la linea: “O il Pd disegna i prossimi dieci anni, o il Pd non serve più” e poi "si governa e si decide”.
Sembra di ritornare al passato ... la sconfitta referendaria è un malaugurato incidente ... senza alcuna analisi; Renzi si scorda di parecchi elementi (la sua personalizzazione, le tante banalità egoriferite, l’esaltazione del combattente solitario, il vuoto delle parole e degli slogan, ecc.) e i necessari accenni di autocritica, semmai sono gli elettori rei di non averlo capito (poiché la massa è normale, mentre il leader che la guida è eccezionale).
Se l’incapacità di imparare dalle proprie sconfitte è premessa certa di sconfitte future, allora basta aspettare con l’unica consolazione che questo varrà ad abbreviare questa lunga agonia che potrebbe al contrario dilungarsi per lungo tempo con danni ulteriori per il Paese.
In conclusione, la radice del “populismo” interno al PD (denunciato anche da Orlando) si ritrova, appunto, proprio nella concezione stessa del PD, cioè nel suo atto fondativo (nel “Manifesto dei valori del PD” approvato il 16/2/2008): La vocazione maggioritaria del Partito Democratico, il suo proporsi come partito del Paese, come grande forza nazionale (…) che sia in grado di dare adeguate risposte ai grandi problemi del presente e del futuro”.
Senza una analisi e una presa di coscienza di questo elemento “fondante” l’equivoco populista continuerà a caratterizzare non solo il PD, ma la stessa azione di governo a guida PD, poiché la pretesa di essere una istituzione civile, che svolge una funzione pubblica” fa perdere ogni contatto con il Paese reale, e con il suo profondissimo malessere; un Paese che intanto sprofonda sotto gli slogan, come quello di un “Italia che riparte” … mentre i poveri sono sempre più poveri e i ricchi sempre più ricchi”, ma il moderatismo del PD ha continuato a ripetere: “a questo stato delle cose non c'è alternativa”.
Euro Mazzi
 
Puoi vedere le altre due parti:
- prima parte: QUI
- seconda parte: QUI

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