sabato 2 luglio 2016

PANICO DA REFERENDUM: TRA “PAURE” E OTTIMISMO (prima parte)

Confindustria si è schierata a favore del SI sul referendum costituzionale perché assicurerebbe: una maggiore stabilità e governabilità del Paese; una riduzione dei tempi decisionali; una semplificazione e una modernizzazione dei rapporti tra i diversi livelli di governo; un efficientamento della finanza pubblica. Il suo Centro Studi ha avvertito che: “Una vittoria dei no nel referendum sulle riforme costituzionali porterebbe l'Italia a una recessione che costerebbe 4 punti di Pil in meno nel triennio 2017-2019, 600 mila occupati in meno e 430 mila persone in condizione di povertà”. Inoltre, il costo per l'Italia della Brexit è nel biennio 2016-2017 di 0,6 punti di Pil, 81 mila unità di occupazione, 154 euro pro-capite e 113 mila poveri. Ancora, il presidente di Confindustria ha confermato l'importanza di portare avanti “con coraggio e determinazione” un percorso “deciso” di riforme costituzionali, istituzionali ed economiche, “perché le riforme sono la chiave per accendere il motore dell'economia.

Chiara e sintetica è stata la reazione di Berlusconi che ha definito l’attuale Confindustria degli “aspiranti sudditi”. Calderoli ha criticato fortemente l’associazione, mettendone in dubbio la sua onestà intellettuale: “Ma come fa il Centro Studi di Confindustria a fare da ‘Cassandra’ e a prevedere una recessione, se vincessero i NO al referendum, quando in recessione ci siamo da anni? (…) Arrivano a prevedere in caso di vittoria dei no le dieci piaghe d’Egitto o quasi, mancano solo le cavallette. Appaiono ridicole e di parte le stime sparate”. Il Manifesto parla di Panico da referendum … Mancano solo lo tsunami e l’uragano Katrina. Per il resto la lista di apocalittici sinistri profetizzati dal Centro studi di Confindustria in caso di vittoria del No al referendum è completa. Caos politico, instabilità terremotante, fuggi fuggi di capitali, fiducia e consumi a picco”. 
Del resto, era stato lo stesso Renzi a personalizzare la campagna referendaria e a legare la sorte del suo governo all’esito del referendum; per esempio in data 11/6/2016 dichiarava: Io vado a casa se al referendum votano no perché non sono adatto a fare un altro giro mettendo insieme storie diverse. Ma il punto vero è che se passa il no l'Italia diventa ingovernabile, ci sarà sempre una larga intesa, un inciucio, non ci sarà mai un partito in grado di vincere”.
Così anche la Boschi (5/6/16) “E’ ovvio che gli scenari che si aprirebbero in caso di vittoria del no sono di instabilità, quindi sarebbe un problema per la governabilità del Paese, per la sua stabilità, non per questo governo nello specifico”.
Questo sguaiato tentativo di spaventare gli elettori per costringerli ad approvare una pessima riforma costituzionale (come abbiamo ampiamente dimostrato nei post presenti in questo blog a cui si rimanda) rivela solo quanto i poteri che sostengono il governo Renzi siano ora terrorizzati dall’esito del referendum.
Ma è preoccupante che la campagna referendaria si poggi su simili (e assai delicati) argomenti dell’instabilità e ingovernabilità in caso di vittoria del NO; fare una campagna referendaria sulla paura serve a semplificare gli schieramenti e a raccogliere il consenso in modo facile e immediato.
Per esempio, è assai “penosa” la dichiarazione della Boschi  (9/5/2016): “chi vota no voterà come Casapound”; è sconfortante quella (22/5/2016) sui “partigiani veri” che votano per il SI e quelli “falsi” per il NO: “ci sono molti partigiani, quelli veri, che hanno combattuto, e non quelli venuti poi, che voteranno sì alla riforma costituzionale”
Insomma, è deprimente fare una campagna referendaria sulla base di questi presupposti “ideologici”, che evitando di entrare nel merito del provvedimento di riforma costituzionale semplificano lo scontro su questioni “esterne” e di pura propaganda.
Questo modo di fare propaganda contribuisce ad un clima da caos politico, ad uno scontro tra opposti (il bene e il male), radicalizzando le posizioni. Sollevare i dubbi che il NO porterebbe alla perdita dei rendimento dei titoli di Stato, a fughe di capitali e a minore fiducia da parte di imprese e famiglie … serve a “rinnovare” le brutte sensazioni avvertite dalla popolazione in tutto questo decennio di prolungata crisi economica, finanziaria e sociale. Soprattutto, serve a identificare il bene solo nel SI, nel Governo e in Renzi.
L’intervento a gamba tesa di Confindustria, il cui Centro studi profetizza l’apocalisse economica se la riforma di Renzi fosse sconfitta al referendum, è un’operazione mediaticamente sfacciata (“Il Paese, già estremamente provato, dovrebbe fronteggiare una nuova grave emergenza economica con inevitabili spinte verso soluzioni populistiche”), ma si completa con l’altra faccia della medaglia: l’appello alla speranza che ha sempre accompagnato la comunicazione di Renzi.
In tal senso, l’ottimismo di Renzi è solo una tecnica di propaganda semplice ma efficace: da un lato, c’è la sua visione positiva dell’Italia (l’economia è in ripresa, la disoccupazione in calo, gli italiani sono pieni di potenzialità da sviluppare, eccetera), dall’altro lato stanno i “gufi” che vedono sempre negativo. Da una parte, c’è il Governo Renzi che fa le riforme e quelli che votano SI; dall’altra, i “gufi”, cioè i fautori dell’inciucio e della spartizione e quelli che votano NO : “I gufi sono quelli che criticano l’Italia e sperano che non ce la faccia. Ci sono i gufi professore, i gufi brontoloni, i gufi indovini (...) Ma basta con questo clima di rassegnazione. I cittadini hanno ancora voglia di crederci. E io non mollo di un millimetro” (6/8/2014).
Questa impostazione propagandistica tende ad attirare simpatie e attenzioni perché è semplice e positiva, tende a farci dimenticare se in passato le cose sono andate male e i problemi non sono stati risolti oppure sono stati peggiorati.
Come si contrasta, allora, questa propaganda bipolare (da una parte, l’evocazione della paura dell’ingovernabilità, dell’instabilità e della recessione; dall’altra, l’inguaribile ottimismo renziano)? La “paura” e “l’ottimismo” si contrastano con i fatti e con le analisi corrette. Se i fatti sono ripetutamente, insistentemente, fortemente distanti da ciò che l’ottimista racconta, vincono i fatti e l’ottimista perde credibilità. Se le analisi sono corrette saranno evidenti le bugie e l’inconsistenza delle “paure” e chi le ha divulgate perde attendibilità.
Per esempio, il ministro Padoan il 17/8/14 dichiarava che “Quello che cambia è che per la ripresa in Italia, ma anche in Europa, ci vorrà più tempo del previsto. Il fatto è che sfortunatamente, e non lo dico come una scusa, ci siamo tutti sbagliati. Intendo organizzazioni internazionali, governi e via di seguito. Tutti prevedevamo una crescita maggiore per quest’anno nella zona euro e nessuno fino ad ora ci ha visto giusto”. Comunque, si dichiarava fiducioso che le riforme daranno impulso alla crescita “ma ci vorrà tempo. Sono più che sicuro che le riforme che stiamo mettendo in campo porteranno benefici nel medio termine, ovvero nei prossimi due anni”. E due anni dopo, in data 7/6/2016 dichiarava: “La crescita "si rafforzerà" grazie alle riforme, anche quelle istituzionali perché "la stabilità istituzionale favorisce gli investimenti". Così il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan a Porta a Porta sottolineando che "le riforme sono un motore nuovo per una macchina che andava piano, che permette una velocità di crociera più elevata" una volta che si comincerà a "vederne appieno gli effetti, servono tra i due e i cinque anni"”.
Allora quale credibilità può avere una previsione di recessione in caso di vittoria del NO al referendum costituzionale se in questi anni lo stesso ministro Padoan ha sostenuto che “ci siamo tutti sbagliati r che ci vogliono anni per vedere gli effetti delle riforme, spostando l’accertamento di tali effetti dal 2014 al 2016 e ora al 2019-20? Credo nessuna, ma tutti ci provano.
Le grandi istituzioni economiche che rappresentano gli interessi del mondo dell’industria e della finanza vogliono assolutamente che la riforma costituzionale venga approvata dagli elettori nel referendum del prossimo ottobre. Dopo JP Morgan, dopo Confindustria, dopo il Fondo Monetario Internazionale, anche l’agenzia di rating Fitch sull’Italia scrive: “sono state approvate riforme del lavoro, del sistema elettorale, sui fallimenti aziendali e sull’istruzione, ma è ancora troppo presto per dire se queste riforme alzeranno significativamente il Pil nel lungo termine”. Ma anche se l’impatto sulla crescita economica (per non parlare sui salari e sull’occupazione) non è un fatto certo, per gli analisti dell’agenzia “l’esito del referendum di ottobre 2016 sarà fondamentale per determinare se la spinta alle riforme continua o va in stallo”.
Non sono credibili queste previsioni e, dunque, occorre partecipare con impegno alla campagna referendaria sul rifiuto della proposta di modifica costituzionale, poiché è una “nobile” battaglia politica e va giocata fino in fondo.
Alla luce di quanto sopra esposto, intanto occorre ribadire alcune questioni “politiche” che spingono per votare NO:
a) Renzi ha sbagliato a gestire direttamente, come capo del Governo, la riforma costituzionale e, dopo, a legare la sorte del Governo stesso all’esito del referendum. E’ una Sua grave responsabilità (insieme a quella del PD che lo sostiene) se ora la situazione è difficile per tutti: chissà cosa può succedere se vince il NO o se vince il SI: “Se Renzi vince - ha scritto Eugenio Scalfari su Repubblica il 22 maggio 2016 - sarà padrone, se perde si apre uno scenario nuovo sul quale è molto difficile fare previsioni”. Votare NO è necessario per evitare il rischio di avere un “padrone” o una democrazia plebiscitaria.
b) E’ sbagliato teorizzare che non bisogna disturbare “il manovratore”, e che ogni critica sia illegittima, anzi sia «oggettivamente» un favore al nemico. Questo schematismo è pericoloso in quanto è una deriva esiziale per il futuro delle democrazie. E’ una illusione pericolosissima combattere il populismo con le sue stesse armi: la semplificazione, il «noi contro loro» (cercando sempre un nemico), dosi massicce di populismo alternativo (come la battaglia contro la casta o la svalutazione di «chi c’era prima», o il giochino di chi veramente fa le cose), oppure con l’atteggiamento da «dopo di me il diluvio». Il populismo si combatte con maggiore educazione democratica, con maggiore civismo, con maggiore attitudine al governare con il confronto, la discussione e l’analisi.
c) Renzi ha la responsabilità di aver fatto una riforma a colpi di una maggioranza variabile ed ondeggiante prevalsa nel voto parlamentare, una prova muscolare, fra l’altro, capitanata da un Premier mai neppure eletto parlamentare. La costituzione è un insieme di valori e di regole comuni condivise, che va sottratta al gioco delle  maggioranze e delle minoranze; unica salvezza di fronte ai fondamentalismi di ogni tipo; unica speranza di integrare le diversità spezzettate di una società sempre più articolata; è il metro su cui valutare tutte le politiche; è un patrimonio che va sostenuto, difeso, incrementato, fatto conoscere.
In conclusione, votare NO perché è una riforma pasticciata e sbagliata … e per vincere il panico da referendum.

Euro Mazzi

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