Le
aziende partecipate da Enti Pubblici (Comuni, Province, Regioni, Ministeri,
società pubbliche) sono un vero e proprio universo parallelo al già ipertrofico
mondo della Pubblica Amministrazione.
In
data 07/08/2014 è stato reso pubblico il programma di razionalizzazione delle
società partecipate locali redatto dal Commissario Cottarelli che ha
evidenziato la presenza di quasi 8.000 aziende a partecipazione diretta o
indiretta, ovvero tramite altre partecipate, presenti in diverse forme: associazioni,
fondazioni, consorzi, società; la forma societaria è però la più diffusa.
Il numero è sicuramente maggiore dato che l’Istat nel 2012 le individua in 11.024 unità. L'ultimo rapporto aggiornato al 2013 pubblicato dalla Corte dei Conti ha rilevato la presenza di 7.500 partecipate, 50 dallo Stato e 5.258 dagli enti locali, cui si sommano ulteriori 2.214 organismi di varia natura (consorzi, fondazioni, associazioni).
Le
partecipate sono un ginepraio, una giungla inestricabile di partecipazioni
dirette e indirette, attraverso società madri detenute a loro volta; il
risultato è un groviglio di scatole di cui non se ne conosce il numero esatto,
non si dispone spesso neanche dei bilanci, in generale c’è poca trasparenza
gestionale, i risultati effettivi non sono facilmente valutabili … insomma non
si ha una conoscenza esatta del fenomeno nel suo complesso.
Ma
le conseguenze, invece, si avvertono … eccome!!! L’impatto sui conti pubblici è
rilevante così come la ripercussione sui contribuenti. Il valore economico che
ogni anno muovono le società partecipate dagli enti locali supera i 40 miliardi
di euro l’anno. Nel 2012 le perdite delle 7.726 partecipate censite dal MEF sono
state di oltre 1,2 miliardi: secondo altre stime sono 1.424 su 5.264 (circa 1
su 4) le società partecipate da enti locali in perdita.
Il
movimento finanziario indotto dalle società partecipate dallo Stato ammontava per
pagamenti erogati a 30,55 miliardi nel 2011, 26,11 miliardi nel 2012 e 25,93 miliardi
nel 2013.
Nella
Relazione sulle partecipate del 2015, la Corte dei Conti ha evidenziato che: a)
se si registra una netta prevalenza degli organismi in utile, tuttavia sono
preoccupanti per dimensione le perdite di bilancio registrate; b) emergono
valori medi più elevati di incidenza del costo del personale sul costo della
produzione (al 21,83%) e sul valore della produzione (20,31%): “Tali evidenze contabili confermano che il
costo del lavoro assume un peso determinante sull’intero costo della produzione
ed è in grado di condizionare il rendimento degli altri fattori della
produzione”; c) l’analisi della
gestione finanziaria dimostra una prevalenza dei debiti sui crediti, il
rapporto tra capitale di terzi (totale debiti) e capitale proprio (patrimonio
netto) è generalmente elevato; d) nelle partecipazioni pubbliche al 100% l’incidenza
dei crediti verso controllanti è più elevata (oltre il 35,99%), rispetto all’incidenza
dal lato dei debiti (21,2%), più basse ma significative sono le rispettive incidenze nel complesso degli
organismi osservati (del 18,36% e del 12,28%); e) molto significative sono le
erogazioni degli Enti Pubblici in favore delle partecipate (6,9 miliardi).
La
Corte dei Conti sottolinea che la forma societaria può diventare uno strumento
col quale gli Enti locali eludono i vincoli di spesa che gravano su di essi,
come: il Patto di stabilità interno, i vincoli di contenimento della spesa e
delle assunzioni del personale, la riduzione del numero dei componenti i Consigli
di Amministrazione e il contenimento dei loro compensi, il rispetto agli
obblighi di pubblicità e di trasparenza, la opaca gestione degli appalti.
Nel
documento di razionalizzazione della spesa pubblica, presentato nel 2014 dal
Commissario alla “Spending review”
Carlo Cottarelli, si dichiarava che dal “disboscamento” delle Società
partecipate locali poteva essere risparmiato nell’esercizio 2015 circa 500
milioni di euro, 2 miliardi nel triennio 2015/2017, con una riduzione del loro
numero di 2.000 già nel corso del 2015, a regime si sarebbe potuto risparmiare
2-3 miliardi l’anno … se le proposte avanzate nel documento fossero state
prontamente recepite dal Governo e dal Parlamento. Ma così non è stato e
Cottarelli non svolge più questo incarico … e non è per caso!!!
Queste
scatole hanno, infatti, consigli di amministrazione e collegi, che assicurano
una collocazione a rappresentanti della politica e delle professioni; il costo
per il loro funzionamento ammonta a circa 2,5 miliardi di euro l’anno, di cui oltre
600 milioni di euro per gettoni e rimborsi per i consiglieri di
amministrazione.
L’82,3%
(21.815 persone) del totale dei Consiglieri di Amministrazione sono concentrati
nel Centro-Nord; il restante 16,7% (4.684 persone) sono concentrati nel Sud
d’Italia.
Secondo
uno studio del Cerved in metà delle partecipate in mano ai soli comuni (5.273)
il numero delle cariche di amministrazione è superiore a quello dei dipendenti:
in una società partecipata comunale su due ci sarebbero più posizioni
dirigenziali che addetti dipendenti. A livello complessivo il personale
dirigente è effettivamente sproporzionato: 26.500 persone per 37 mila cariche.
Complessivamente
le società partecipate garantiscono alla politica la distribuzione di 24.432
posizioni pubbliche tra consiglieri e amministratori. A questi vanno aggiunti
oltre 23.375 consulenti, indicati dagli amministratori nominati dalla politica,
locale o nazionale.
Dunque,
le partecipate possono essere ristoro per una mancata inclusione nelle liste o
possono diventare occupazioni a tempo pieno con incarichi su più aziende, la
nomina spesso avviene con scarsa trasparenza e limitate procedure di
pubblicità. Il trattamento economico è assai vario: si va da piccole
remunerazioni a quelle alte e altissime; quasi sempre vi possono essere
benefici indiretti (rimborsi spese per missioni, benefit, agevolazioni, ecc.) …
oltre all’importanza per il ruolo ricoperto.
Nel
censimento Istat pubblicato a fine 2014 si contavano più di 1.800 partecipate
con zero addetti a libro paga (e più della metà di queste aveva il bilancio in
rosso); altre tremila avevano meno di sei dipendenti, almeno un migliaio
fatturava meno di centomila euro l’anno.
Nel
2012 le 11.024 partecipate avevano 977.792 addetti, di cui 951.249 impiegate in
7.685 imprese effettivamente attive; la loro dimensione media è di 124 addetti;
mentre la forma giuridica con la dimensione maggiore (307 addetti per impresa),
è la società per azioni, scelta dal 33% delle imprese partecipate, che ha un
peso in termini di addetti dell’81,9% sul totale delle imprese partecipate.
Si
tratta di numeri che fanno capire quanto sia difficile intervenire sulle
partecipate, poiché poi risulta difficile realizzare effettive dismissioni
che permetterebbe rilevanti risparmi per i bilanci pubblici, ma che
comprometterebbe una miriade di interessi oramai consolidati. Secondo alcune
stime un primo serio riordino produrrebbe circa 100.000 esuberi da gestire e proprio
per gestire questo aspetto (uno degli ostacoli più importanti) sono previsti
nuove regole sulla mobilità (nel limite dei 50 chilometri).
Come
ha osservato il procuratore della Corte dei Conti Tommaso Cottone: “pur avendo preso coscienza del sostanziale
fallimento del modello di gestione societario partecipato, le Amministrazioni
regionali e locali, incontrano gravissimi problemi a tornare sui propri passi
per liberarsi di tali organismi in quanto le massicce assunzioni a suo tempo
disposte hanno creato aspettative occupazionali a regime che, se per un verso
non possono essere soddisfatte con “internalizzazioni” contra legem, per altri
profili presentano delicatissimi aspetti legati ai livelli occupazionali ed a
accordi sindacali. Al depauperamento delle risorse pubbliche, si aggiungono,
quindi, tensioni sociali di rilevante entità”.
Insomma,
il quadro sulle società partecipate è allarmante; questi sono i veri costi di
una cattiva gestione della politica e questo è il nodo gordiano da recidere se
vogliamo uno Stato che agevoli l’iniziativa dei cittadini e non cerchi di sostituirsi malamente ad
essi. Le partecipate sono una pluralità di enti cresciuti a dismisura insieme
ai loro costi di gestione, al personale, ai dirigenti che hanno un crescente
peso sui bilanci pubblici, ma che non si riescono a controllare e a riportare a
livello di normalità. Quindi, non è più rinviabile un riordino delle partecipate con
regole chiare e cogenti, con forme organizzative omogenee, con criteri
razionali di partecipazione, con imprescindibili ed effettivi controlli da
parte degli enti conferenti che dia a questi ultimi la responsabilità
dell’effettivo governo degli enti partecipati. Questo è il terreno dove operare
la spending review e permettere una riduzione delle tasse.
... ma la storia continua ... seguiteci.
Euro Mazzi
... ma la storia continua ... seguiteci.
Euro Mazzi
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