lunedì 28 marzo 2016

SOCIETÀ PARTECIPATE: UNA MALATTIA IN PEGGIORAMENTO E UN «BISTURI» CHE NON ARRIVA … (prima parte)

Le aziende partecipate da Enti Pubblici (Comuni, Province, Regioni, Ministeri, società pubbliche) sono un vero e proprio universo parallelo al già ipertrofico mondo della Pubblica Amministrazione.
In data 07/08/2014 è stato reso pubblico il programma di razionalizzazione delle società partecipate locali redatto dal Commissario Cottarelli che ha evidenziato la presenza di quasi 8.000 aziende a partecipazione diretta o indiretta, ovvero tramite altre partecipate, presenti in diverse forme: associazioni, fondazioni, consorzi, società; la forma societaria è però la più diffusa.

Il numero è sicuramente maggiore dato che l’Istat nel 2012 le individua in 11.024 unità. L'ultimo rapporto aggiornato al 2013 pubblicato dalla Corte dei Conti ha rilevato la presenza di 7.500 partecipate, 50 dallo Stato e 5.258 dagli enti locali, cui si sommano ulteriori 2.214 organismi di varia natura (consorzi, fondazioni, associazioni).
Le partecipate sono un ginepraio, una giungla inestricabile di partecipazioni dirette e indirette, attraverso società madri detenute a loro volta; il risultato è un groviglio di scatole di cui non se ne conosce il numero esatto, non si dispone spesso neanche dei bilanci, in generale c’è poca trasparenza gestionale, i risultati effettivi non sono facilmente valutabili … insomma non si ha una conoscenza esatta del fenomeno nel suo complesso.
Ma le conseguenze, invece, si avvertono … eccome!!! L’impatto sui conti pubblici è rilevante così come la ripercussione sui contribuenti. Il valore economico che ogni anno muovono le società partecipate dagli enti locali supera i 40 miliardi di euro l’anno. Nel 2012 le perdite delle 7.726 partecipate censite dal MEF sono state di oltre 1,2 miliardi: secondo altre stime sono 1.424 su 5.264 (circa 1 su 4) le società partecipate da enti locali in perdita.
Il movimento finanziario indotto dalle società partecipate dallo Stato ammontava per pagamenti erogati a 30,55 miliardi nel 2011, 26,11 miliardi nel 2012 e 25,93 miliardi nel 2013.
Nella Relazione sulle partecipate del 2015, la Corte dei Conti ha evidenziato che: a) se si registra una netta prevalenza degli organismi in utile, tuttavia sono preoccupanti per dimensione le perdite di bilancio registrate; b) emergono valori medi più elevati di incidenza del costo del personale sul costo della produzione (al 21,83%) e sul valore della produzione (20,31%): “Tali evidenze contabili confermano che il costo del lavoro assume un peso determinante sull’intero costo della produzione ed è in grado di condizionare il rendimento degli altri fattori della produzione”;  c) l’analisi della gestione finanziaria dimostra una prevalenza dei debiti sui crediti, il rapporto tra capitale di terzi (totale debiti) e capitale proprio (patrimonio netto) è generalmente elevato; d) nelle partecipazioni pubbliche al 100% l’incidenza dei crediti verso controllanti è più elevata (oltre il 35,99%), rispetto all’incidenza dal lato dei debiti (21,2%), più basse ma significative sono le  rispettive incidenze nel complesso degli organismi osservati (del 18,36% e del 12,28%); e) molto significative sono le erogazioni degli Enti Pubblici in favore delle partecipate (6,9 miliardi).  
La Corte dei Conti sottolinea che la forma societaria può diventare uno strumento col quale gli Enti locali eludono i vincoli di spesa che gravano su di essi, come: il Patto di stabilità interno, i vincoli di contenimento della spesa e delle assunzioni del personale, la riduzione del numero dei componenti i Consigli di Amministrazione e il contenimento dei loro compensi, il rispetto agli obblighi di pubblicità e di trasparenza, la opaca gestione degli appalti.
Nel documento di razionalizzazione della spesa pubblica, presentato nel 2014 dal Commissario alla “Spending review” Carlo Cottarelli, si dichiarava che dal “disboscamento” delle Società partecipate locali poteva essere risparmiato nell’esercizio 2015 circa 500 milioni di euro, 2 miliardi nel triennio 2015/2017, con una riduzione del loro numero di 2.000 già nel corso del 2015, a regime si sarebbe potuto risparmiare 2-3 miliardi l’anno … se le proposte avanzate nel documento fossero state prontamente recepite dal Governo e dal Parlamento. Ma così non è stato e Cottarelli non svolge più questo incarico … e non è per caso!!!
Queste scatole hanno, infatti, consigli di amministrazione e collegi, che assicurano una collocazione a rappresentanti della politica e delle professioni; il costo per il loro funzionamento ammonta a circa 2,5 miliardi di euro l’anno, di cui oltre 600 milioni di euro per gettoni e rimborsi per i consiglieri di amministrazione.
L’82,3% (21.815 persone) del totale dei Consiglieri di Amministrazione sono concentrati nel Centro-Nord; il restante 16,7% (4.684 persone) sono concentrati nel Sud d’Italia.  
Secondo uno studio del Cerved in metà delle partecipate in mano ai soli comuni (5.273) il numero delle cariche di amministrazione è superiore a quello dei dipendenti: in una società partecipata comunale su due ci sarebbero più posizioni dirigenziali che addetti dipendenti. A livello complessivo il personale dirigente è effettivamente sproporzionato: 26.500 persone per 37 mila cariche.
Complessivamente le società partecipate garantiscono alla politica la distribuzione di 24.432 posizioni pubbliche tra consiglieri e amministratori. A questi vanno aggiunti oltre 23.375 consulenti, indicati dagli amministratori nominati dalla politica, locale o nazionale.
Dunque, le partecipate possono essere ristoro per una mancata inclusione nelle liste o possono diventare occupazioni a tempo pieno con incarichi su più aziende, la nomina spesso avviene con scarsa trasparenza e limitate procedure di pubblicità. Il trattamento economico è assai vario: si va da piccole remunerazioni a quelle alte e altissime; quasi sempre vi possono essere benefici indiretti (rimborsi spese per missioni, benefit, agevolazioni, ecc.) … oltre all’importanza per il ruolo ricoperto.
Nel censimento Istat pubblicato a fine 2014 si contavano più di 1.800 partecipate con zero addetti a libro paga (e più della metà di queste aveva il bilancio in rosso); altre tremila avevano meno di sei dipendenti, almeno un migliaio fatturava meno di centomila euro l’anno.
Nel 2012 le 11.024 partecipate avevano 977.792 addetti, di cui 951.249 impiegate in 7.685 imprese effettivamente attive; la loro dimensione media è di 124 addetti; mentre la forma giuridica con la dimensione maggiore (307 addetti per impresa), è la società per azioni, scelta dal 33% delle imprese partecipate, che ha un peso in termini di addetti dell’81,9% sul totale delle imprese partecipate.
Si tratta di numeri che fanno capire quanto sia difficile intervenire sulle partecipate, poiché poi   risulta difficile realizzare effettive dismissioni che permetterebbe rilevanti risparmi per i bilanci pubblici, ma che comprometterebbe una miriade di interessi oramai consolidati. Secondo alcune stime un primo serio riordino produrrebbe circa 100.000 esuberi da gestire e proprio per gestire questo aspetto (uno degli ostacoli più importanti) sono previsti nuove regole sulla mobilità (nel limite dei 50 chilometri).
Come ha osservato il procuratore della Corte dei Conti Tommaso Cottone: “pur avendo preso coscienza del sostanziale fallimento del modello di gestione societario partecipato, le Amministrazioni regionali e locali, incontrano gravissimi problemi a tornare sui propri passi per liberarsi di tali organismi in quanto le massicce assunzioni a suo tempo disposte hanno creato aspettative occupazionali a regime che, se per un verso non possono essere soddisfatte con “internalizzazioni” contra legem, per altri profili presentano delicatissimi aspetti legati ai livelli occupazionali ed a accordi sindacali. Al depauperamento delle risorse pubbliche, si aggiungono, quindi, tensioni sociali di rilevante entità”.
Insomma, il quadro sulle società partecipate è allarmante; questi sono i veri costi di una cattiva gestione della politica e questo è il nodo gordiano da recidere se vogliamo uno Stato che agevoli l’iniziativa dei cittadini  e non cerchi di sostituirsi malamente ad essi. Le partecipate sono una pluralità di enti cresciuti a dismisura insieme ai loro costi di gestione, al personale, ai dirigenti che hanno un crescente peso sui bilanci pubblici, ma che non si riescono a controllare e a riportare a livello di normalità. Quindi, non è più rinviabile un riordino delle partecipate con regole chiare e cogenti, con forme organizzative omogenee, con criteri razionali di partecipazione, con imprescindibili ed effettivi controlli da parte degli enti conferenti che dia a questi ultimi la responsabilità dell’effettivo governo degli enti partecipati. Questo è il terreno dove operare la spending review e permettere una riduzione delle tasse.

... ma la storia continua ... seguiteci.
Euro Mazzi

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