L’aggregazione
di Acam in Iren pone una serie di problematiche estremamente delicate e
complesse come quelle derivante dalla proprietà delle reti e la loro conseguente cessione da Acam, società
interamente pubblica, ad Iren,
società mista con prevalenza di capitale sociale pubblico; cessione implicita
nell’Accordo di Investimento oggetto di delibera.
Nel
caso specifico Acam ha la proprietà delle
reti idriche con i relativi impianti di captazione dell’acqua, ma anche le reti
fognarie con i relativi impianti di depurazione e scarico; questi impianti
sono stati fatti: 1) dai Comuni che poi li hanno conferiti in Acam e la quota
di proprietà in Acam ne rappresenta appunto l’avvenuto pagamento; 2) da Acam
stessa che li ha costruiti, mantenuti e/o ristrutturati. Ora questi impianti di fatto vengono ceduti ad Iren poiché Acam viene fusa
per incorporazione in IREN (vedere art. 7 Accordo d’Investimento); Acam acque permane come società presente
sul territorio, ma è il gestore delle
reti e degli impianti e, comunque, viene
incorporata e inserita (come per le altre partecipazioni di Acam Ambiente,
Centrogas, Recos e Acamtel) nelle rispettive società operative del Gruppo IREN.
La questione della proprietà delle reti è assai importante e delicata, poiché si inserisce in un quadro normativo vigente, nonché giurisprudenziale e dottrinario, assai confuso e articolato, dal quale con estrema difficoltà si riesce a enucleare alcune sintetiche indicazioni. In sintesi emerge quanto segue:
La questione della proprietà delle reti è assai importante e delicata, poiché si inserisce in un quadro normativo vigente, nonché giurisprudenziale e dottrinario, assai confuso e articolato, dal quale con estrema difficoltà si riesce a enucleare alcune sintetiche indicazioni. In sintesi emerge quanto segue:
1)
il principio (dettato in generale per i servizi pubblici locali di rilevanza
economica) secondo cui, «ferma restando la proprietà pubblica delle reti, la loro gestione può essere affidata a soggetti privati»;
2)
la proprietà delle reti pubbliche
sono assoggettate «al regime giuridico del
demanio accidentale pubblico, con conseguente
divieto di cessione e di mutamento della destinazione pubblica,
in particolare è confermata la natura
demaniale delle infrastrutture idriche»;
3)
il “regime
demaniale” comporta il «divieto di cessione e di mutamento della destinazione pubblica».
In
proposito, giova ricordare che il referendum (così detto "acqua bene comune") del 13/6/2011 abrogava l'art.
23-bis del D.L. 112/2008
che regolamentava l’affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali tra
cui il servizio idrico.
La
Corte Costituzionale in alcune pronunce ha evidenziato come manchi una norma
chiara e, pertanto, come sia applicabile la normativa comunitaria relativamente all’affidamento dei servizi
pubblici locali ritenuta meno restrittiva nel rispetto del principio della concorrenza; ma i trattati
lasciano del tutto impregiudicato il regime
di proprietà esistente negli Stati membri (art. 345 TFUE).
Nell'ordinamento
italiano, in riferimento alle reti più importanti (in particolare autostrade,
strade, strade ferrate, aerodromi e, per quanto concerne il servizio idrico,
acquedotti), l’art. 822 e ss. del Codice Civile stabilisce che reti ed altre
infrastrutture statali, provinciali e comunali appartengono al “demanio pubblico” e come tali «sono
inalienabili e non possono formare oggetto di diritti a favore di terzi». Qualora invece esse siano di altri
soggetti, in quanto destinate a un pubblico servizio, sono indisponibili e non possono essere sottratte alla loro
destinazione, se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano.
Con
riguardo al servizio idrico, il riferimento alla proprietà delle infrastrutture
era contenuto nell'art. 12 della legge Galli (n. 36/1994), il quale però
distingueva tra le opere, gli impianti e
le canalizzazioni di proprietà degli enti locali o affidati in dotazione o
in esercizio ad aziende speciali e a consorzi, e così sembrava suggerire che le
infrastrutture potessero non essere necessariamente di proprietà dell'ente
locale.
Con
la riforma della disciplina, ai sensi dell’art. 143 del Codice dell’Ambiente (D.lgs.
n. 152 del 3/4/2006), gli acquedotti, le fognature, gli impianti di depurazione
e le altre infrastrutture idriche di proprietà pubblica (non conta quale sia
l’ente di riferimento), fino al punto di consegna e/o misurazione, fanno parte del demanio ai sensi degli
articoli 822 e seguenti del Codice civile e sono inalienabili, se non nei
modi e nei limiti stabiliti dalla legge. Questo articolo, se da un lato conferma
quanto indicato dal Codice Civile,
amplia la demanialità, sia con riferimento alle infrastrutture che
beneficiano della tutela che rispetto all'appartenenza, che si estende anche ai
beni delle pubbliche amministrazioni non territoriali, sebbene non ai beni dei privati.
In
conclusione, la normativa europea
non statuisce sulla proprietà delle reti ma semplicemente sull’affidamento e
sulla gestione con una normativa meno restrittiva sempre nel rispetto del principio della concorrenza con il fine
di impedire eventuali posizioni dominanti.
Il
codice civile, la Legge Galli del 1994 e infine il T.U. sull’ambiente del 2006
offrono un quadro chiaro e trasparente sulla proprietà pubblica di tute le reti
qualunque natura e genere. Con il d.lgs 152/2006 addirittura viene ampliato ed
esteso il concetto di demanialità
ricomprendendovi anche le infrastrutture non indicate viceversa dalla legge
Galli del 1994.
Dunque,
è alla luce di questi principi che
occorre valutare l’aggregazione di Acam, la quale detiene la proprietà
delle reti e impianti, in particolare di quelli idrici di molti comuni (compresi
quelli di Castelnuovo Magra, il quale a partire dal 1972-1994 ha via via
conferito ad Acam quanto realizzato nel proprio territorio per impianti di
captazione, acquedotto, fognature, depuratore, ecc.). E’ difficile stabilire il valore di questi impianti di cui non
è nota l’esistenza di un censimento e di una cronistoria dei vari interventi
manutentivi; si può semplicisticamente affermare che questi impianti valevano quanto era il valore nominale
della quota detenuta da ciascun Comune in Acam (per esempio nel caso di
Castelnuovo M. questa quota era pari a € 4.805.777,89).
Occorre
ricordare, però, che tale quota è stata ridotta in data 5/9/2013 dalle
decisioni dell’assemblea straordinaria di Acam che riduceva il capitale sociale (ammontante a € 120.594.020) al fine di dare copertura integrale alle perdite
accumulate negli anni precedenti ammontanti a € 92.774.071 e, pertanto, il capitale sociale veniva ridotto a € 27.819.860 (pari cioè al patrimonio
netto presente al 31/12/2012).
La
conseguenza di questa riduzione del capitale sociale di Acam si è tramutata per
tutti i Comuni in una perdita secca di
valore del proprio patrimonio; per esempio, il Comune di Castelnuovo Magra
ha dovuto operare una variazione del valore della partecipazione di Acam (presente
nel Conto del Patrimonio), a seguito della svalutazione
del suo reale, effettivo e attuale valore con una perdita di ben € 3.608.328,56 (passando questo valore da €
4.805.777,89 a € 1.197.449,33 quale variazione riportata appunto nel rendiconto
del 2013 approvato in data 28/4/2014); cioè la crisi di Acam ci ha impoverito
un po’ tutti … Ora è vero che tale valore attualmente è leggermente ricresciuto
per via dei positivi risultati di questi ultimi anni a seguito del Piano di
Ristrutturazione dei debiti ex art. 182 della legge fallimentare; ma il problema
posto dall’aggregazione di Acam in Iren è che ora questi impianti passano da una società interamente pubblica ad una
società mista, di cui la parte pubblica detiene solo una maggioranza (peraltro
continuamente messa in discussione dalle necessità di molti comuni di vendere
le proprie azioni per recuperare liquidità da destinare al ripiano delle proprie
esposizioni debitorie).
Dunque,
tenendo conto la normativa vigente e verificate le modalità di incorporazione di Acam in Iren, questo Accordo di
Investimento fa sollevare molti dubbi sulla conformità alla normativa vigente e andrebbe rivisto proprio per meglio rispettare il “regime demaniale” delle reti idriche.
Sotto
questo profilo, questo Accordo di Investimento
fa emergere, altresì, un problema
politico di fondamentale importanza perché rappresenta una ulteriore
momento nel processo di “finanziarizzazione” e di “privatizzazione” dei servizi
pubblici. Non vogliamo entrare in schemi di contrapposizione ideologica che ci
appaiono sterili e non adeguati, ma il problema è di tutta evidenza.
Con
tutti i difetti e le difficoltà, Acam
era una società a totale controllo pubblico, fortemente legata ai comuni di appartenenza non
solo in quanto soci, ma perché gestiva
direttamente i loro fondamentali servizi pubblici: il ciclo integrato
dell’acqua, quello dei rifiuti e quello energetico. La scellerata gestione economica e finanziaria condotta dal 2000 fino
al 2013 ha comportato una crisi che è sfociata inevitabilmente nella procedura
concorsuale ex art. 182 legge fallimentare di Ristrutturazione del debito, con
conseguente dismissione della partecipazione nel settore gas e di altri beni
aziendali e ora si arriva a questa aggregazione con Iren.
La
responsabilità politica di questo
risultato è totalmente in capo ai Sindaci e alle maggioranze pro tempore dei
Comuni-soci di Acam, in particolare al PD che ne è stato per gran parte di loro
il partito di riferimento; ma ora con questa proposta di aggregazione si accelerano questi processi, poiché Iren
per dimensione economica e finanziaria, per la presenza di consistenti soci
privati all’interno della sua compagine, per la sua stessa quotazione in Borsa,
eleva al massimo lo stimolo alla
redditività e al contenimento dei costi, in contrapposizione alle esigenze
territoriali, ai bisogni sociali, alle richieste di uno sviluppo a livello
territoriale ordinato e costante, ma certamente più lento.
Si
tratta di un processo molto più ampio che non riguarda solo il caso Acam, ma in
generale tutti i servizi pubblici in tutto il territorio italiano; specie al
Centro-Nord si sta assistendo ad una
corsa all’aggregazione delle varie municipalizzate intorno a poche grandi multiutility (Iren, A2A, Hera, Acea,
ecc.); non a caso si parla di un “Risiko” e di sfere di influenza.
Del
resto, nel 2015 il renziano Erasmo D’Angelis auspicava: “Dobbiamo passare da circa 1.500 società partecipate a 20 società
regionali per la gestione dei rifiuti, 5 grandi player per il servizio idrico
integrato, 3 per la distribuzione del gas e 4 per il trasporto pubblico
locale”.
Questi processi
aggregativi stanno procedendo: spariscono le aziende territoriali e
si sviluppano ulteriormente le poche multiutility
quotate in Borsa; questo processo però è una lenta ma inesorabile spoliazione degli enti locali e del loro
patrimonio costituito da territorio, beni immobili e servizi pubblici.
Purtroppo, a causa spesso della cattiva gestione di questo patrimonio (che ha
determinato spesso un deterioramento della struttura patrimoniale delle società
erogatrici di servizi pubblici), senza dimenticare la pesante dimensione del
debito pubblico (che ha imposto vari provvedimenti di contenimento, ad es. il
Patto di Stabilità e Crescita interno, la spending
review, il Fiscal Compact, ecc.), hanno
determinato una crescente dipendenza dal
settore finanziario e persuaso gli enti locali a percorrere un gigantesco e strisciante
cammino di privatizzazione, consegnando beni, servizi e patrimonio pubblico alla
così detta “finanza”, nonostante
l’esponenziale incremento delle tariffe e del carico sui cittadini necessari
anche per coprire gli alti oneri finanziari.
La
stessa funzione sociale degli enti locali come luoghi di prossimità degli
abitanti di un territorio viene messa in discussione; si assiste ad una progressiva riduzione degli spazi di
democrazia e distanziamento dei luoghi della decisionalità collettiva dalla
vita concreta delle persone (per esempio con la scarsa partecipazione alla
vita politica, l’assenteismo elettorale, la campagna contro la “casta dei politici”); si tenta un accentramento istituzionale con relativa
riduzione della rappresentanza (come nel caso della riforma costituzionale
Renzi-Boschi).
Non
coltiviamo una rassegnata solitudine
e una battaglia di bandiera, ma non
posiamo che richiamare i principi fondamentali che sono alla base della nostra
comunità e costantemente reclamare una
efficiente gestione pubblica proprio per evitare che con la scusa del
risanamento si prosegua nel mastodontico processo di spoliazione delle comunità
locali.
Continueremo
in questa battaglia anche se oggi siamo minoranza, ma fiduciosi che occorra
comunque e sempre "combattere le buone battaglie", poiché a volte
basta aspettare l’occasione giusta: come nel caso degli esiti positivi del
referendum popolari “acqua bene comune” del
13/6/2011 e
quello costituzionale del 4/12/2016.
Discorso letto nel Consiglio
Comunale del 21/12/2017 su: "Approvazione Accordo di Investimento tra
Iren Spa e Acam Spa" per conto dei consiglieri comunali: Euro Mazzi, Maria Luisa Isoppo, Francesco Baracchini e
Giorgio Salvetti
Sull’aggregazione di Acam nel
Gruppo Iren vedere anche i seguenti post:
1) CON
LA FUSIONE PER INCORPORAZIONE FINIRÀ ACAM …: QUI2) FAR INCORPORARE ACAM PER “ENTRARE NELLA STANZA DEI BOTTONI”: QUI
3) ACAM/IREN … PERDERE TEMPO NELLA FRETTA DI DECIDERE: QUI
4) AGGREGAZIONE ACAM/IREN: GARANZIE REALI O ASTRATTE?: QUI
5) ACAM/IREN … PER FAVORE, NON DALLA PADELLA ALLA BRACE …: QUI
6) ACAM/IREN: NOTIZIE E PAURE FASULLE SULLA MANCANZA DI ALTERNATIVE: QUI
9) ACAM/IREN: “OSCURANTISMO E MIOPIA …”: QUI
10) TRA LACUNE, SUPERFICIALITÀ E FORZATURE SCOMPARE ACAM E CI GUADAGNA SOLO IREN …:
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