sabato 13 gennaio 2018

ACAM/IREN: È RISPETTATA LA NORMATIVA SUL “REGIME DEMANIALE” DELLE RETI IDRICHE? (undicesima parte)

L’aggregazione di Acam in Iren pone una serie di problematiche estremamente delicate e complesse come quelle derivante dalla proprietà delle reti e la loro conseguente cessione da Acam, società interamente pubblica, ad Iren, società mista con prevalenza di capitale sociale pubblico; cessione implicita nell’Accordo di Investimento oggetto di delibera.
Nel caso specifico Acam ha la proprietà delle reti idriche con i relativi impianti di captazione dell’acqua, ma anche le reti fognarie con i relativi impianti di depurazione e scarico; questi impianti sono stati fatti: 1) dai Comuni che poi li hanno conferiti in Acam e la quota di proprietà in Acam ne rappresenta appunto l’avvenuto pagamento; 2) da Acam stessa che li ha costruiti, mantenuti e/o ristrutturati. Ora questi impianti di fatto vengono ceduti ad Iren poiché Acam viene fusa per incorporazione in IREN (vedere art. 7 Accordo d’Investimento); Acam acque permane come società presente sul territorio, ma è il gestore delle reti e degli impianti e, comunque, viene incorporata e inserita (come per le altre partecipazioni di Acam Ambiente, Centrogas, Recos e Acamtel) nelle rispettive società operative del Gruppo IREN.

La questione della proprietà delle reti è assai importante e delicata, poiché si inserisce in un quadro normativo vigente, nonché giurisprudenziale e dottrinario, assai confuso e articolato, dal quale con estrema difficoltà si riesce a enucleare alcune sintetiche indicazioni. In sintesi emerge quanto segue:
1) il principio (dettato in generale per i servizi pubblici locali di rilevanza economica) secondo cui,  «ferma restando la proprietà pubblica delle reti, la loro gestione può essere affidata a soggetti privati»;
2) la proprietà delle reti pubbliche sono assoggettate «al regime giuridico del demanio accidentale pubblico, con conseguente divieto di cessione e di mutamento della destinazione pubblica, in particolare è confermata la natura demaniale delle infrastrutture idriche»;
3) il “regime demaniale” comporta il «divieto di cessione e di mutamento della destinazione pubblica».
In proposito, giova ricordare che il referendum (così detto "acqua bene comune") del 13/6/2011 abrogava l'art. 23-bis del D.L. 112/2008 che regolamentava l’affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali tra cui il servizio idrico.
La Corte Costituzionale in alcune pronunce ha evidenziato come manchi una norma chiara e, pertanto, come sia applicabile la normativa comunitaria relativamente all’affidamento dei servizi pubblici locali ritenuta meno restrittiva nel rispetto del principio della concorrenza; ma i trattati lasciano del tutto impregiudicato il regime di proprietà esistente negli Stati membri (art. 345 TFUE).
Nell'ordinamento italiano, in riferimento alle reti più importanti (in particolare autostrade, strade, strade ferrate, aerodromi e, per quanto concerne il servizio idrico, acquedotti), l’art. 822 e ss. del Codice Civile stabilisce che reti ed altre infrastrutture statali, provinciali e comunali appartengono al “demanio pubblico” e come tali «sono inalienabili e non possono formare oggetto di diritti a favore di terzi». Qualora invece esse siano di altri soggetti, in quanto destinate a un pubblico servizio, sono indisponibili e non possono essere sottratte alla loro destinazione, se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano.
Con riguardo al servizio idrico, il riferimento alla proprietà delle infrastrutture era contenuto nell'art. 12 della legge Galli (n. 36/1994), il quale però distingueva tra le opere, gli impianti e le canalizzazioni di proprietà degli enti locali o affidati in dotazione o in esercizio ad aziende speciali e a consorzi, e così sembrava suggerire che le infrastrutture potessero non essere necessariamente di proprietà dell'ente locale.
Con la riforma della disciplina, ai sensi dell’art. 143 del Codice dell’Ambiente (D.lgs. n. 152 del 3/4/2006), gli acquedotti, le fognature, gli impianti di depurazione e le altre infrastrutture idriche di proprietà pubblica (non conta quale sia l’ente di riferimento), fino al punto di consegna e/o misurazione, fanno parte del demanio ai sensi degli articoli 822 e seguenti del Codice civile e sono inalienabili, se non nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge. Questo articolo, se da un lato conferma quanto indicato dal Codice Civile,  amplia la demanialità, sia con riferimento alle infrastrutture che beneficiano della tutela che rispetto all'appartenenza, che si estende anche ai beni delle pubbliche amministrazioni non territoriali, sebbene non ai beni dei privati.
In conclusione, la normativa europea non statuisce sulla proprietà delle reti ma semplicemente sull’affidamento e sulla gestione con una normativa meno restrittiva sempre nel rispetto del principio della concorrenza con il fine di impedire eventuali posizioni dominanti.
Il codice civile, la Legge Galli del 1994 e infine il T.U. sull’ambiente del 2006 offrono un quadro chiaro e trasparente sulla proprietà pubblica di tute le reti qualunque natura e genere. Con il d.lgs 152/2006 addirittura viene ampliato ed esteso il concetto di demanialità ricomprendendovi anche le infrastrutture non indicate viceversa dalla legge Galli del 1994. 
Dunque, è alla luce di questi principi che occorre valutare l’aggregazione di Acam, la quale detiene la proprietà delle reti e impianti, in particolare di quelli idrici di molti comuni (compresi quelli di Castelnuovo Magra, il quale a partire dal 1972-1994 ha via via conferito ad Acam quanto realizzato nel proprio territorio per impianti di captazione, acquedotto, fognature, depuratore, ecc.). E’ difficile stabilire il valore di questi impianti di cui non è nota l’esistenza di un censimento e di una cronistoria dei vari interventi manutentivi; si può semplicisticamente affermare che questi impianti valevano quanto era il valore nominale della quota detenuta da ciascun Comune in Acam (per esempio nel caso di Castelnuovo M. questa quota era pari a € 4.805.777,89).
Occorre ricordare, però, che tale quota è stata ridotta in data 5/9/2013 dalle decisioni dell’assemblea straordinaria di Acam che riduceva il capitale sociale (ammontante a € 120.594.020) al fine di dare copertura integrale alle perdite accumulate negli anni precedenti ammontanti a € 92.774.071 e, pertanto, il capitale sociale veniva ridotto a € 27.819.860 (pari cioè al patrimonio netto presente al 31/12/2012).
La conseguenza di questa riduzione del capitale sociale di Acam si è tramutata per tutti i Comuni in una perdita secca di valore del proprio patrimonio; per esempio, il Comune di Castelnuovo Magra ha dovuto operare una variazione del valore della partecipazione di Acam (presente nel Conto del Patrimonio), a seguito della svalutazione del suo reale, effettivo e attuale valore con una perdita di ben € 3.608.328,56 (passando questo valore da € 4.805.777,89 a € 1.197.449,33 quale variazione riportata appunto nel rendiconto del 2013 approvato in data 28/4/2014); cioè la crisi di Acam ci ha impoverito un po’ tutti … Ora è vero che tale valore attualmente è leggermente ricresciuto per via dei positivi risultati di questi ultimi anni a seguito del Piano di Ristrutturazione dei debiti ex art. 182 della legge fallimentare; ma il problema posto dall’aggregazione di Acam in Iren è che ora questi impianti passano da una società interamente pubblica ad una società mista, di cui la parte pubblica detiene solo una maggioranza (peraltro continuamente messa in discussione dalle necessità di molti comuni di vendere le proprie azioni per recuperare liquidità da destinare al ripiano delle proprie esposizioni debitorie).
Dunque, tenendo conto la normativa vigente e verificate le modalità di incorporazione di Acam in Iren, questo Accordo di Investimento fa sollevare molti dubbi sulla conformità alla normativa vigente e andrebbe rivisto proprio per meglio rispettare il “regime demaniale” delle reti idriche.
Sotto questo profilo, questo Accordo di Investimento fa emergere, altresì, un problema politico di fondamentale importanza perché rappresenta una ulteriore momento nel processo di “finanziarizzazione” e di “privatizzazione” dei servizi pubblici. Non vogliamo entrare in schemi di contrapposizione ideologica che ci appaiono sterili e non adeguati, ma il problema è di tutta evidenza.
Con tutti i difetti e le difficoltà, Acam era una società a totale controllo pubblico, fortemente legata ai comuni di appartenenza non solo in quanto soci, ma perché gestiva direttamente i loro fondamentali servizi pubblici: il ciclo integrato dell’acqua, quello dei rifiuti e quello energetico. La scellerata gestione economica e finanziaria condotta dal 2000 fino al 2013 ha comportato una crisi che è sfociata inevitabilmente nella procedura concorsuale ex art. 182 legge fallimentare di Ristrutturazione del debito, con conseguente dismissione della partecipazione nel settore gas e di altri beni aziendali e ora si arriva a questa aggregazione con Iren.
La responsabilità politica di questo risultato è totalmente in capo ai Sindaci e alle maggioranze pro tempore dei Comuni-soci di Acam, in particolare al PD che ne è stato per gran parte di loro il partito di riferimento; ma ora con questa proposta di aggregazione si accelerano questi processi, poiché Iren per dimensione economica e finanziaria, per la presenza di consistenti soci privati all’interno della sua compagine, per la sua stessa quotazione in Borsa, eleva al massimo lo stimolo alla redditività e al contenimento dei costi, in contrapposizione alle esigenze territoriali, ai bisogni sociali, alle richieste di uno sviluppo a livello territoriale ordinato e costante, ma certamente più lento.
Si tratta di un processo molto più ampio che non riguarda solo il caso Acam, ma in generale tutti i servizi pubblici in tutto il territorio italiano; specie al Centro-Nord si sta assistendo ad una corsa all’aggregazione delle varie municipalizzate intorno a poche grandi multiutility (Iren, A2A, Hera, Acea, ecc.); non a caso si parla di un Risiko” e di sfere di influenza.
Del resto, nel 2015 il renziano Erasmo D’Angelis auspicava: “Dobbiamo passare da circa 1.500 società partecipate a 20 società regionali per la gestione dei rifiuti, 5 grandi player per il servizio idrico integrato, 3 per la distribuzione del gas e 4 per il trasporto pubblico locale”.
Questi processi aggregativi stanno procedendo: spariscono le aziende territoriali e si sviluppano ulteriormente le poche multiutility quotate in Borsa; questo processo però è una lenta ma inesorabile spoliazione degli enti locali e del loro patrimonio costituito da territorio, beni immobili e servizi pubblici. Purtroppo, a causa spesso della cattiva gestione di questo patrimonio (che ha determinato spesso un deterioramento della struttura patrimoniale delle società erogatrici di servizi pubblici), senza dimenticare la pesante dimensione del debito pubblico (che ha imposto vari provvedimenti di contenimento, ad es. il Patto di Stabilità e Crescita interno, la spending review, il Fiscal Compact, ecc.), hanno determinato una crescente dipendenza dal settore finanziario e persuaso gli enti locali a percorrere un gigantesco e strisciante cammino di privatizzazione, consegnando beni, servizi e patrimonio pubblico alla così detta “finanza”, nonostante l’esponenziale incremento delle tariffe e del carico sui cittadini necessari anche per coprire gli alti oneri finanziari.
La stessa funzione sociale degli enti locali come luoghi di prossimità degli abitanti di un territorio viene messa in discussione; si assiste ad una progressiva riduzione degli spazi di democrazia e distanziamento dei luoghi della decisionalità collettiva dalla vita concreta delle persone (per esempio con la scarsa partecipazione alla vita politica, l’assenteismo elettorale, la campagna contro la “casta dei politici”); si tenta un accentramento istituzionale con relativa riduzione della rappresentanza (come nel caso della riforma costituzionale Renzi-Boschi).
Non coltiviamo una rassegnata solitudine e una battaglia di bandiera, ma non posiamo che richiamare i principi fondamentali che sono alla base della nostra comunità e costantemente reclamare una efficiente gestione pubblica proprio per evitare che con la scusa del risanamento si prosegua nel mastodontico processo di spoliazione delle comunità locali.
Continueremo in questa battaglia anche se oggi siamo minoranza, ma fiduciosi che occorra comunque e sempre "combattere le buone battaglie", poiché a volte basta aspettare l’occasione giusta: come nel caso degli esiti positivi del referendum popolari acqua bene comune” del 13/6/2011 e quello costituzionale del 4/12/2016.
 
Discorso letto nel Consiglio Comunale del 21/12/2017 su: "Approvazione Accordo di Investimento tra Iren Spa e Acam Spa" per conto dei consiglieri comunali: Euro Mazzi, Maria Luisa Isoppo, Francesco Baracchini e Giorgio Salvetti 

Sull’aggregazione di Acam nel Gruppo Iren vedere anche i seguenti post:
1) CON LA FUSIONE PER INCORPORAZIONE FINIRÀ ACAM …: QUI
2)  FAR INCORPORARE ACAM PER “ENTRARE NELLA STANZA DEI BOTTONI”: QUI
3)  ACAM/IREN … PERDERE TEMPO NELLA FRETTA DI DECIDERE: QUI
4)  AGGREGAZIONE ACAM/IREN: GARANZIE REALI O ASTRATTE?: QUI
5)  ACAM/IREN … PER FAVORE, NON DALLA PADELLA ALLA BRACE …: QUI
6) ACAM/IREN: NOTIZIE E PAURE FASULLE SULLA MANCANZA DI ALTERNATIVE: QUI
7) IL PERCORSO DELLA PROPOSTA DI AGGREGAZIONE ACAM IN IREN: QUI
8) L’ARTICOLAZIONE DELLA PROPOSTA AGGREGATIVA DI IREN: QUI
9) ACAM/IREN: “OSCURANTISMO E MIOPIA …”: QUI
10) TRA LACUNE, SUPERFICIALITÀ E FORZATURE SCOMPARE ACAM E CI GUADAGNA SOLO IREN …: QUI

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