Confindustria si è schierata a favore
del SI sul referendum costituzionale perché assicurerebbe: una maggiore stabilità e governabilità del Paese; una riduzione
dei tempi decisionali; una semplificazione
e una modernizzazione dei rapporti tra i diversi livelli di governo; un
efficientamento della finanza pubblica. Il suo Centro Studi ha
avvertito che: “Una vittoria dei no nel
referendum sulle riforme costituzionali porterebbe
l'Italia a una recessione che costerebbe 4 punti di Pil in meno nel
triennio 2017-2019, 600 mila occupati in meno e 430 mila persone in condizione
di povertà”. Inoltre, il costo per l'Italia della Brexit è nel biennio
2016-2017 di 0,6 punti di Pil, 81 mila unità di occupazione, 154 euro
pro-capite e 113 mila poveri. Ancora, il presidente di Confindustria ha
confermato l'importanza di portare avanti “con
coraggio e determinazione” un percorso “deciso” di riforme costituzionali,
istituzionali ed economiche, “perché le
riforme sono la chiave per accendere il motore dell'economia”.

Del
resto, era stato lo stesso Renzi a personalizzare la campagna referendaria e a
legare la sorte del suo governo all’esito del referendum; per esempio in data
11/6/2016 dichiarava: “Io vado a casa se al referendum votano no
perché non sono adatto a fare un altro giro mettendo insieme storie diverse. Ma
il punto vero è che se passa il no
l'Italia diventa ingovernabile, ci sarà sempre una larga intesa, un
inciucio, non ci sarà mai un partito in grado di vincere”.
Così
anche la Boschi (5/6/16) “E’ ovvio che
gli scenari che si aprirebbero in caso di vittoria del no sono di instabilità, quindi sarebbe un problema
per la governabilità del Paese, per
la sua stabilità, non per questo governo nello specifico”.
Questo
sguaiato tentativo di spaventare gli
elettori per costringerli ad approvare una pessima riforma
costituzionale (come abbiamo ampiamente dimostrato nei post presenti in questo
blog a cui si rimanda) rivela solo quanto i poteri che sostengono il governo
Renzi siano ora terrorizzati dall’esito del referendum.
Ma
è preoccupante che la campagna referendaria si poggi su simili (e assai
delicati) argomenti dell’instabilità e ingovernabilità in caso di vittoria del
NO; fare una campagna referendaria sulla
paura serve a semplificare gli schieramenti e a raccogliere il consenso in modo
facile e immediato.
Per
esempio, è assai “penosa” la
dichiarazione della Boschi (9/5/2016): “chi vota no voterà come Casapound”; è
sconfortante quella (22/5/2016) sui “partigiani
veri” che votano per il SI e quelli “falsi” per il NO: “ci sono molti partigiani, quelli veri, che hanno combattuto, e non
quelli venuti poi, che voteranno sì alla riforma costituzionale” …
Insomma,
è deprimente fare una campagna referendaria sulla base di questi presupposti “ideologici”, che evitando di entrare
nel merito del provvedimento di riforma costituzionale semplificano lo scontro
su questioni “esterne” e di pura propaganda.
Questo
modo di fare propaganda contribuisce ad un clima
da caos politico, ad uno scontro tra opposti (il bene e il male),
radicalizzando le posizioni. Sollevare i dubbi che il NO porterebbe alla
perdita dei rendimento dei titoli di Stato, a fughe di capitali e a minore
fiducia da parte di imprese e famiglie … serve a “rinnovare” le brutte sensazioni
avvertite dalla popolazione in tutto questo decennio di prolungata crisi
economica, finanziaria e sociale. Soprattutto,
serve a identificare il bene solo nel SI, nel Governo e in Renzi.
L’intervento
a gamba tesa di Confindustria, il cui Centro studi profetizza l’apocalisse
economica se la riforma di Renzi fosse sconfitta al referendum, è un’operazione mediaticamente sfacciata
(“Il Paese, già estremamente provato,
dovrebbe fronteggiare una nuova grave emergenza economica con inevitabili
spinte verso soluzioni populistiche”), ma si completa con l’altra faccia
della medaglia: l’appello alla speranza
che ha sempre accompagnato la comunicazione di Renzi.

Questa
impostazione propagandistica tende ad attirare
simpatie e attenzioni perché è semplice e positiva, tende a farci dimenticare se in passato le cose
sono andate male e i problemi non sono stati risolti oppure sono stati peggiorati.
Come
si contrasta, allora, questa propaganda bipolare (da una parte, l’evocazione
della paura dell’ingovernabilità, dell’instabilità e della recessione;
dall’altra, l’inguaribile ottimismo renziano)? La “paura” e “l’ottimismo” si contrastano con i fatti e con le
analisi corrette. Se i fatti sono ripetutamente, insistentemente,
fortemente distanti da ciò che l’ottimista racconta, vincono i fatti e
l’ottimista perde credibilità. Se le
analisi sono corrette saranno evidenti le bugie e l’inconsistenza delle “paure”
e chi le ha divulgate perde
attendibilità.

Allora
quale credibilità può avere una previsione di recessione in caso di vittoria
del NO al referendum costituzionale se in questi anni lo stesso ministro Padoan
ha sostenuto che “ci siamo tutti sbagliati” r che ci vogliono anni per
vedere gli effetti delle riforme, spostando l’accertamento di tali effetti dal
2014 al 2016 e ora al 2019-20? Credo nessuna, ma tutti ci provano.
Le grandi istituzioni economiche che rappresentano gli interessi del mondo dell’industria e
della finanza vogliono assolutamente che la riforma costituzionale venga
approvata dagli elettori nel referendum del prossimo ottobre. Dopo JP
Morgan, dopo Confindustria, dopo il Fondo Monetario Internazionale, anche
l’agenzia di rating Fitch sull’Italia scrive: “sono state approvate riforme del lavoro, del sistema elettorale, sui
fallimenti aziendali e sull’istruzione, ma
è ancora troppo presto per dire se queste riforme alzeranno significativamente
il Pil nel lungo termine”. Ma anche se l’impatto sulla crescita
economica (per non parlare sui salari e sull’occupazione) non è un fatto certo,
per gli analisti dell’agenzia “l’esito
del referendum di ottobre 2016 sarà fondamentale
per determinare se la spinta alle riforme continua o va in stallo”.
Non
sono credibili queste previsioni e, dunque, occorre partecipare con impegno alla
campagna referendaria sul rifiuto della proposta di modifica costituzionale, poiché
è una “nobile” battaglia politica e
va giocata fino in fondo.
Alla
luce di quanto sopra esposto, intanto occorre ribadire alcune questioni
“politiche” che spingono per votare NO:
a)
Renzi ha sbagliato a gestire direttamente, come capo del Governo, la riforma
costituzionale e, dopo, a legare la sorte del Governo stesso all’esito del
referendum. E’ una Sua grave responsabilità (insieme a quella del PD che lo
sostiene) se ora la situazione è difficile per tutti: chissà cosa può succedere
se vince il NO o se vince il SI: “Se
Renzi vince - ha scritto Eugenio Scalfari su Repubblica il 22 maggio 2016 - sarà padrone, se perde si apre
uno scenario nuovo sul quale è molto
difficile fare previsioni”. Votare NO è necessario per evitare il rischio
di avere un “padrone” o una democrazia plebiscitaria.

c)
Renzi ha la responsabilità di aver fatto una
riforma a colpi di una maggioranza variabile ed ondeggiante prevalsa nel
voto parlamentare, una prova muscolare,
fra l’altro, capitanata da un Premier mai neppure eletto parlamentare. La
costituzione è un insieme di valori e di regole comuni condivise, che va sottratta
al gioco delle maggioranze e delle minoranze; unica salvezza di fronte ai
fondamentalismi di ogni tipo; unica speranza di integrare le diversità
spezzettate di una società sempre più articolata; è il metro su cui valutare
tutte le politiche; è un patrimonio che va sostenuto, difeso, incrementato,
fatto conoscere.
In
conclusione, votare NO perché è una
riforma pasticciata e sbagliata … e per vincere il panico da referendum.
Euro
Mazzi
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