Le
nuove norme costituzionali che saranno oggetto del prossimo referendum
apportano alcune modifiche anche al titolo VI intitolato “Garanzie costituzionali”, nella parte che tratta della Corte
Costituzionale (art. 134-137). Il ruolo svolto dalla Corte è cruciale per
l’ordinamento giuridico, poiché con le sue pronunce vengono eliminati dubbi
interpretativi su disposizioni di legge o sull’effettiva competenza dei diversi
organi dello Stato, “supplendo” spesso al legislatore e/o al Governo, come
avvenuto a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione del 2001.
Sulla
Corte costituzionale le modifiche introdotte dalla riforma riguardano in
particolare: a) un comma aggiunto all’art. 134 attinente alla verifica di “legittimità costituzionale delle leggi che
disciplinano l’elezione dei membri della Camera dei deputati e del Senato della
Repubblica”; b) le elezioni dei suoi membri, prevedendo all’art. 135 che la
sua composizione di quindici giudici, dei quali un terzo nominati dal
Presidente della Repubblica, un terzo dalle supreme magistrature ordinaria ed
amministrative, “tre dalla Camera dei deputati e due dal Senato della Repubblica”.


Solo
approfondendo l’analisi si possono invece scoprire le insidie contenute in
queste modifiche, soprattutto mettendole in relazione con il combinato
disposto: a) delle norme della legge elettorale (il c.d. Italicum), che assicura alla
lista vincitrice la maggioranza dei seggi (55% pari a 340 deputati) della
Camera; b) unite alle norme riformate della composizione del Senato (95 senatori eletti dai Consigli Regionali
più 5 dal Presidente della Repubblica) che favoriscono
il partito più rappresentato nei Consigli Regionali (attualmente il PD); c)
nonché a quelle per le elezioni del Presidente della Repubblica che potrebbero
permettere alla maggioranza di governo
di sceglierselo autonomamente.

Inoltre,
non bisogna dimenticare che Camera e Senato eleggono un terzo dei membri del Consiglio Superiore della Magistratura
(art. 104 Costituzione). Attualmente la L. 44/2002 fissa in 24 il numero dei
componenti elettivi, di cui 16 membri togati e 8 laici; questi ultimi sono
eletti dal Parlamento in seduta comune con votazione a scrutinio segreto e con
la maggioranza dei tre quinti dei componenti l’assemblea per i primi due
scrutini, mentre dal terzo scrutinio è sufficiente la maggioranza dei tre
quinti dei votanti.

Anche
le previsioni dell’art 134 sul controllo preventivo di costituzionalità delle
leggi elettorali promosso da 1/4 dei componenti della Camera ed 1/3 dei
componenti del Senato entro 10 giorni dall’approvazione della legge comporta
benefici e costi. I benefici sono: a) può portare ad una elaborazione della
legge elettorale maggiormente
partecipata e condivisa tra forza politiche per evitare il ricorso di
costituzionalità, rendendo la maggioranza più incline a dialogare e negoziare i
contenuti con le minoranze. b) può favorire un controllo più effettivo, in quanto svolto a monte
dell’applicazione della legge, senza più il rischio di potenziale
delegittimazione del Parlamento in carica, evitando il problema della
decorrenza temporale degli effetti e della potenziale illegittimità degli atti
parlamentari approvati. I “costi” sono: a) il rischio di “politicizzazione” della Corte, la quale sarà più
esposta a pressioni e a incorre in maggiori rischi di delegittimazione. b) il rischio di “giuridicizzare” il
dibattito politico, inteso come sistematica minaccia di finire quanto iniziato
nell’aule parlamentari dinanzi alla Corte, trasformando la lotta politica
intrapresa con strumenti giudiziari.

Va
ricordato, comunque, che ci sono anche altri elementi che possono correggere i rischi di parzialità: 1) i
quindici giudici decidono tutto collegialmente, la Corte costituzionale è
infatti l’unica istituzione della Repubblica in cui la collegialità è una
caratteristica decisiva; 2) il numero limitato dei giudici (15); 3) l’impegno
esclusivo alla Corte (durante il mandato i giudici non possono svolgere alcuna
attività professionale); 4) il mandato di nove anni (il più lungo fra le
istituzioni repubblicane); 5) la non rieleggibilità e la non prorogabilià; 6) le
diverse provenienze all’interno del collegio; 7) le maggioranze richieste; 8) ogni
giudice soprattutto può compiere il proprio mandato “secundum constitutionem” e non sulla base delle esigenze della
maggioranza che eventualmente lo ha eletto.

Ma
questi elementi non cambiano il giudizio su
un meccanismo istituzionalizzato che può permettere alla maggioranza di
raggiungere il proprio obiettivo di votare giudici espressione della propria
area e, nel prossimo futuro, ci si dovrà (forse) preoccupare della tenuta della
Corte come organo super partes che sarà comunque sempre più coinvolta nella dialettica politica.
Euro
Mazzi
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